Storie di immigrazione ed integrazione sotto il Vesuvio. Ecco gli angeli vesuviani che “amano i colori”

1233427_452219471558702_1216167950_nVesuvio: ultimo approdo di un viaggio lungo un continente. Nuova patria per chi dal suo paese scappa, desiderando l’alba di una nuova vita, lontana dagli orrori della guerra e più vicina alle dolci carezze di chi gli permette ancora di sognare.

Vesuvio: terra di accoglienza e di umanità. Gigante buono; luogo d’origine di “angeli” che dedicano la loro vita alla solidarietà verso i più deboli, offrendogli pasti caldi, un tetto sulle loro teste, amorevoli cure e percorsi di integrazione.

12079303_1307478472611568_5607111889414779144_nPAPA’ ENZO E LA SUA (MAMA)AFRICA. Si chiama Enzo Liguoro, ma per i cittadini di Pollena Trocchia, e per i suoi ragazzi africani è “Papà Enzo”, il fondatore di Mama Africa Onlus: un’associazione che ha scelto la linea del volontariato come realtà operativa a costo zero. “Niente buonismo!- ribadisce più volte il dottor Liguoro – Si vuol restituire, almeno in parte, ai giovani africani depredati dal vecchio e nuovo colonialismo, quanto loro spetterebbe di diritto. Consapevoli che la solidarietà è solo il mezzo, il fine è la giustizia“.

Docente di geografia politica per oltre 35 anni, e viaggiatore “incallito”, a seguito di una esperienza in Congo, ha deciso di sposare la causa della gente africana: “Dopo aver visto la sofferenza delle popolazioni africane – dice “il professore” – sarebbe stato disumano decidere di non fare qualcosa di concreto”.

 E così ha ospitato in Italia, presso la sua casa, “quella in cui non si può entrare se si è razzisti”,- recita così il cartellone all’ingresso della sua abitazione – ben 8 ragazzi: 6 dal Congo, 2 dal Togo, dove, da Giugno 2006, con il suo pensionamento, ha potuto dedicarsi alla nascita di una casa-famiglie per bambini orfani nel villaggio di Togoville. Adesso vive quasi stabilmente in Africa anche se costretto a ritornare in Italia per curarsi dai continui attacchi di malaria. Ci parla di un vesuviano solidale. Per nulla incline al razzismo, sebbene qualche singolo episodio di “bullismo” accaduto, e la legge Bossi-Fini “che vede come una minaccia l’extracomunitario”.

10862528_10205222229746137_4536173075849329245_oLA VULCANICA ANNA SCHETTINI: DAL POSTO FISSO E DALLA SEZONE DI PARTITO AL PRECARIATO E ALLA DENUNCIA DELLE TRATTE DI DONNE. Se Mama Africa e la mission di “Papà Enzo” rappresentano forse l’emblema di un Vesuviano multirazziale e contento di esserlo; la vulcanica Anna Schettini e la sua Cooperativa Shannara di Portici, nata nel ‘99 ispirandosi ai principi di pace, libertà, giustizia e solidarietà sociale e con finalità di promozione, prevenzione ed intervento su situazioni di disagio sociale e di emarginazione, costituiscono il simbolo dell’accoglienza a 360 gradi per minori e rifugiati politici.

Dopo una giovinezza dedicata al volontariato, e dopo i viaggi in Nord Italia e in Germania, Anna, nel ‘96, ha maturato l’idea di una casa-famiglie per minori a rischio: “Smantellai la mia sezione di Partito, e lasciai il posto fisso come dipendente delle ferrovie dello Stato. Ad oggi la mia cooperativa ha ospitato oltre 170 ragazzi tra Italiani e stranieri. Questi ultimi tutti inseritesi alla grande nella cultura napoletana e nel mondo lavorativo. Sono perlopiù nigeriani. Spesso donne, impiegate in passato nella tratta della prostituzione. In Italia difficilmente riscontrato problemi legati al razzismo. Forse solo una volta a San Giorgio. Ricordo che allora richiesi l’aiuto dell’Amministrazione comunale che non tardò ad arrivare. Poi nulla più. Noi napoletani siamo un popolo vicino alle sofferenze dei migranti”.

E così addio al posto fisso e alle logiche partitiche per poter aiutare il prossimo. Nonostante il precariato, la burocrazia lenta e difficile e i vari “momenti di difficoltà” affrontati, Anna non si è mai pentita della scelta fatta: “Ci sono stati momenti davvero bui per poter mandare avanti la mia azione. Tutta colpa della complessità e lentezza della costosa burocrazia italiana. Ma, ad oggi, posso dire che il peggio è passato. E sono orgogliosa di quanto riuscito a fare. Ancora oggi resto in contatto con tutti i ragazzi di cui mi sono presa cura. Quella che mi è impressa maggiormente nel cuore è una ragazza rumena che ha avuto il coraggio di denunciare un sistema criminale che ha le sue basi in Romania, ma opera anche in Italia”

emergency castel volturnoGIUSEPPE CIRILLO E LA SUA “MISSION” D’ACCOGLIENZA CON EMERGENCY NEL DESERTO CIVILE DI CASTEL VOLTURNO. Non solo accoglienza e integrazione, ma anche assistenza sanitaria: Giuseppe Cirillo, medico pediatra porticese, volontario per Emergency, gestisce da circa un anno e mezzo un ambulatorio in quella che è considerata la nuova Scampia campana, Castel Volturno. “La scelta di dedicarmi a questa missione è nata anche per continuare quella che è la mia professione. Dopo aver lavorato 25 anni in ospedale; esser stato Direttore del Centro studi sociosanitari del Comune di Napoli e dell’Asl Na1, e tra i principali promotori del programma Adozione Sociale, un progetto della Regione Campania su cui hanno lavorato 500/600 persone dal 2009 al 2012, riguardante metà della popolazione minorile regionale, e non più finanziato pur se richiesto da un accordo di Partenariato tra Regione e Comunità Europea, ho deciso di trasferire le mie competenze nel campo del volontariato”.

Giuseppe ci descrive il suo ambulatorio come uno spazio libero di accoglienza e di amore verso il prossimo, nonostante la lentezza della burocrazia che complica l’operato dei volontari, in un deserto civile, abbandonato al completo degrado, dove i bambini extracomunitari soffrono per lo più di patologie alimentari come l’obesità, e di malattie del sangue come la tubercolosi: “Tutto è cominciato con la richiesta di un bus, poi trasformato in un ambulatorio stabile. Adesso noi medici di Emergency svolgiamo un’attività medica specialistica, andandoci spesso anche a sostituire a molti servizi sanitari pubblici a cui gli extracomunitari del luogo non potrebbero mai avere accesso. Probabilmente andrebbe fatto ancora di più. Ma questa è un’altra storia…“.

Schermata 2015-10-16 alle 20.34.27IBRAHIM E PATRICIA: ORA OSPITATI NELL’EX RESIDENZA DEL BOSS. IN FUGA DALL’ISLAM E DALLA PATRIA PERCHE’ CRISTIANI. Angeli vesuviani. Colonne portanti per chi come Ibrahim e Patricia, fugge dalla terra natia. Coniugi africani, scappati via dall’Africa per motivi religiosi, Patricia (Costa d’Avorio) e Ibrahim (Benin) hanno trovato rifugio a Casa Mandela, Ercolano, nell’ex residenza del boss Zeno di Corso Resina, sequestrata dalla Giustizia Italiana e destinata ai rifugiati di guerra accolti dall’Arcipelago della Solidarietà, associazione che “pratica – ci dice Alessia Russo, rappresentante dell’Associazione – e promuove l’attività di volontariato quale supporto di solidarietà agli individui più deboli“: “Ho seguito l’Amore e così sono ad Ercolano da cinque anni– racconta Patricia – Qui sono nati due dei miei 4 figli che, tranne la più piccola di 2 anni, studiano e vanno regolarmente a scuola. La più grande ha anche vinto una borsa di studio. Vivo bene circondata dall’affetto dei miei cari e non potrei desiderare altro“.

Otto anni fa scappai dal Benin perché decisi di convertirmi al Cristianesimo,– racconta Ibrahim, ex commerciante di frigoriferi – dopo aver studiato per tanto tempo il Corano. Non ero più al sicuro nel mio paese. Così come non lo erano mia moglie e i miei figli, minacciati dalla mia stessa famiglia. Io ho denunciato l’integralismo islamico molto prima che scoppiasse l’allarme ISIS. Adesso sono contento di vivere in Italia, patria del cristianesimo. Potessi tornare indietro, sceglierei questo paese che amo e sento mio. Non rimpiango niente. Mi mancano soltanto la mia privacy e il lavoro“.

SBARCO IMMIGRATI

MANUEL E LA BELLEZZA DI UN LAVORO UMILE IN ITALIA. Lavoro che, invece, non manca a Manuel, 36enne approdato, su un barcone di 140 immigrati, nel 2002 in Italia, dopo essersi spostato dalla Liberia, dove faceva l’agricoltore, in Libia, per fuggire dalla guerra che ha devastato il suo paese: “Dopo 5 mesi di attraversata del deserto sono arrivato in Libia. Dopo un anno sul posto ho appreso della possibilità di spostarmi in Italia“. Manuel, oggi cittadino italiano a tutti gli effetti, lavora in una ditta di pulizie in una delle palestre dell’area vesuviana: “Arrivai a Lampedusa e poi fui trasferito a Crotone. Dopodiché mi spostai a Melito. Da 4 anni sono a Portici: città che mi ha colpito per la sua accoglienza e ospitalità. Rimarrei qui a vita“. Dopo una giornata di intenso e umile lavoro Manuel sorride alla vita e pensa alla sua fortuna nella sfortuna: “Eh Babbene“. – (traduz. “eh Vabbene“) ripete come per sdrammatizzare il suo infausto passato. – Ci saluta visibilmente stanco ma felice e ci ringrazia per l’intervista.

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IN 18 CACCIATI DA TERZIGNO E SALVATI DALLA “PASTORA TEDESCA” THESIE. Portici oggi è anche la città che ospita, dallo scorso 7 Settembre, cinque dei 18 richiedenti asilo politico, allontanati, lo scorso 19 Luglio, dalla struttura di Villa Angela di Terzigno. “Mamma Thesie“, “pastora tedesca” della Chiesa Valdese del Vomero, ci racconta la loro storia: “Dei 18 ragazzi cacciati da Terzigno, 5 vivono a Portici, ospitati dalla Chiesa Valdese locale e da Casa Materna. Sono i ragazzi espulsi dal programma di accoglienza della Prefettura, a seguito della protesta andata in scena in Estate, dovuta alle loro condizioni precarie di vita. Erano in 26 in una stanza allestita per 12 persone dove mancavano pure i distributori dell’acqua. Adesso attendono l’esito del ricorso al Tar, chiamato a decidere sul loro reintegro. Gli altri, invece, dopo esser stati riammessi, grazie anche all’azione legale intrapresa dal legale della ACLI, Maurizio Dago, vivono in strutture sparse per la provincia di Napoli“.

La loro domanda di riconoscimento dell’asilo politico va avanti grazie all’Assistenza legale che la Chiesa Valdese e le ACLI stanno portando avanti: “Mamma Thesie è il più bel regalo che Dio potesse regalarci – dicono i ragazzi – Ringraziamo il signore per averla incontrata sulla nostra strada. Senza di lei non ce l’avremmo mai fatta“. Nonostante le varie peripezie, e le proteste sotto la Prefettura, i 18 ragazzi, provenienti dal Mali e dalla Costa d’Avorio, ci descrivono i napoletani come un popolo “accogliente”: “Eccezion fatta per Terzigno – spiegano in lingua francese – siamo stati accolti con benevolenza dal popolo italiano. La doccia allo stadio Collana, concessaci gentilmente dall’Amministrazione comunale, e la struttura precaria del Vomero rappresentano il più dolce ricordo italiano. Da quel momento, dopo l’Inferno di Terzigno, ci siamo sentiti veramente accolti. Adesso speriamo nella giustizia italiana per poter essere a tutti gli effetti riconosciuti come rifugiati di guerra“.

Dario Striano

 

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