“Questione Palestina Isreale”: Valentina Maisto tende la mano al Rabbino Bahbout: “Lavoriamo insieme per la Pace”
Dopo le polemiche degli scorsi giorni, relativi alla mostra fotografica sulla Resistenza palestinese, realizzata a Portici da Rosa Schiano, la giovane attivista “rea– secondo il PD porticese- di aver condiviso una foto che inneggiava ai terroristi autori del recente attentato di Gerusalemme (http://www.loravesuviana.it/news/a-portici-la-settimana-della-pace-diventa-bufera.html) l’Amministrazione Comunale cerca di smorzare i toni della “querelle”: “in merito alle polemiche che indirettamente hanno tentato di offuscare il senso della “SETTIMANA DELLA PACE”,- ha detto il Consigliere Mauro Mazzone (Go!)- abbiamo deciso di non smorzare il nostro impegno per il dialogo, per lo sforzo intellettuale di comprensione delle cause profonde dei conflitti e, soprattutto, per la pace. Non possiamo e non vogliamo certo interrompere un percorso di approfondimento culturale a causa di miopi strumentalizzazioni. Per questo motivo abbiamo scelto di rivolgerci direttamente a Scialom Bahbout, Rabbino capo della comunità ebraica di Napoli e del sud Italia. La sua intervista ci ha dato grandi spunti di riflessione ed in Lui abbiamo scorto l’unico interlocutore che con onestà inellettuale e saggezza possa riconoscere l’alto fine della nostra iniziativa e dimensionare le strumentalizzazioni e le polemiche come dei piccoli sassolini sulla strada della conoscenza e della pace, strada che intendiamo percorrere fino e in fondo lasciandoci alle spalle fraintendimenti e bugie.”
Di seguito la lettera completa inviata a Scialom Bahbout, Rabbino capo della comunità ebraica di Napoli e del sud Italia, inviata dalla giovane Assessora Valentina Maisto:
“Gentile Rav Scialom Bahbout, le scrivo come organizzatrice della “Settimana della pace e dell’autodeterminazione” nella città di Portici, oggetto di una sua dura intervista sulle pagine de “Il Mattino” di ieri. Scrivo a lei direttamente perché reputo necessario sia superare le diffamanti offensive mediatiche di questi giorni, dai cui toni siamo assolutamente distanti, sia per sottrarre Lei da una strumentalizzazione densa di falsificazioni, in cui, incolpevolmente e a causa delle molte disonestà intellettuali che popolano la scena politica, é stato ingiustamente trascinato. Le scrivo direttamente e attraverso questo mezzo improprio poiché in questi giorni si è assistito a una vicenda triste e pericolosa. Le energie progressive, l’esigenza di approfondimento, dialogo e la voglia di indagare il nesso tra pace e garanzia dei diritti fondamentali che avevano spinto decine di giovani e giovanissimi di questo territorio ad attivarsi, sono stati frustrati da un attacco dai contenuti bassi e dalle tinte farsesche, che ha inteso, senza successo, screditarne lo spirito. Registro che nessuno di coloro che sono intervenuti aspramente sulla vicenda ha avuto l’interesse, la curiosità e l’esigenza di partecipare alla presentazione della mostra, di osservarne le foto o leggerne le didascalie. In altre parole, hanno tutti condannato qualcosa di cui nulla conoscevano. Credo di dover ribadire che, in una sana dialettica dialettica pubblica, dovrebbe valere un principio a cui sono sicura che anche Lei sente di aderire: prima conoscere, poi criticare.
L’intento dell’iniziativa oggetto degli attacchi, in ogni suo aspetto e implicazione, é di descrivere, comprendere ed interpretare contesti di guerra e privazione sistematica dei diritti dell’uomo in varie Regioni del mondo, nonché sensibilizzare sul rispetto di culture e tradizioni differenti che in quei contesti si intrecciano. Attraverso tale iniziativa, i valori del dialogo interculturale ed interreligioso e della promozione della pace tramite la garanzia dei diritti, sono stati posti al centro del dibattito cittadino. Ciò è accaduto per un motivo semplice, quanto cruciale: proprio in mesi in cui così violentemente e diffusamente si manifestano nuovi inquietanti esiti dell’intreccio tra conflitti asimmetrici, crimini di massa e terrorismo, e preoccupati di una progressiva fuga dei media e dell’opinione pubblica da complessità e contraddizioni, sentiamo che contrastare il dilagare di un intorpidimento delle coscienze – per certi versi simile a quello delle epoche buie della storia europea a cui Lei fa riferimento nell’intervista – è lo sforzo cui siamo chiamati tutti, come giovani impegnati nelle istituzioni, ma ancor prima come comunità di cittadini che vogliono di più e meglio dalla politica, che credono nella battaglia culturale contro ogni relativizzazione del valore delle vite umane a seconda delle appartenenze etniche o religiose e che confidano nella lotta non violenta per la cogenza universale dei diritti dell’uomo, consapevoli che essa è precondizione della pace. Lo si è provato a fare con interventi di varia natura: performances musicali e teatrali da artisti che rappresentano le culture del Mediterraneo, testimonianze di volontari dai teatri di crisi, confronti aperti a tutti gli interessati e la mostra fotografica in questione, curata da un’attivista di un’organizzazione pacifista presente nella Striscia di Gaza.
La prego di leggere, in merito, gentile Rabbino Bahbout, la lettera di smentita dell’autrice della mostra “incriminata”, che nessuno o poco spazio ha avuto sul quotidiano che ha ospitato gli attacchi, affinché Lei possa convenire con me sulla tempestività con cui ella prontamente, senza tentennamenti e in maniera sentita, ha condannato con fermezza ogni azione violenta contro civili inermi, da qualsiasi parte esse provengano e contro chiunque siano dirette. Non c’è spazio alcuno, in questa Amministrazione, per messaggi fondamentalisti o di simile natura. Non c’è spazio alcuno, in questa iniziativa, né per essi, né per il tentativo, però, di infettare la sua autenticità. Tengo a dirle che, poiché l’iniziativa in questione è solo la prima di un progetto di approfondimento partecipato e di ampio respiro sulla crisi in Medio Oriente, così come su quelle che affliggono tante altre Regioni del mondo, vorremmo fortemente, nei prossimi mesi, offrirle l’occasione per constatare personalmente l’autenticità del nostro impegno per il dialogo, per lo sforzo intellettuale di comprensione delle cause profonde dei conflitti e, soprattutto, per la pace. Di questo forse non leggerà sui quotidiani, poiché poco utile ad alimentare speculazioni politiche sui drammi di quel conflitto. Ma, almeno, spero che sarà utile a farle comprendere la grande occasione che avevamo – e che abbiamo ancora – di dare, nei prossimi mesi, una piccola dimostrazione di potenza della solidarietà e del rispetto delle diversità, nella comune consapevolezza che proprio noi, che godiamo di pace, tranquillità e tutela dei nostri diritti, non possiamo mostrarci cedevoli alle sirene di chi vorrebbe riprodurre nella nostra città una trincea o di indifferenza, quando non di inganno. Un inganno per cui o si è silenti di fronte alle atrocità di questi conflitti o, se esse si denunciano, é perché si è ideologici o animati da unilateralismi bellici.
Educare le giovani generazioni a non voltarsi dall’altra parte, assumere iniziative coraggiose per denunciare ogni violenza, come Lei giustamente esorta a fare, passa anche per l’assunzione del rischio di chiamare le esperienze a confronto sui temi più delicati. Da giurista, credo che le diversità siano un valore in funzione del pluralismo, credo che solo i sistemi legali di risoluzione internazionale delle controversie possano, a partire dal presupposto del diritto di ognuno alla vita, all’identità e alla libertà, attraverso il reciproco riconoscimento dell’ alterità, riuscire a portare i popoli, un giorno, a camminare sulle stesse strade e nella bellezza degli stessi orizzonti.
La saluto condividendo con Lei il pensiero di una straordinaria intellettuale, autrice di alcune tra le letture fondamentali della mia formazione. Le sue parole ispirano questa iniziativa, sia per la drammatica attualità che rivelano rispetto a tante crisi umanitarie del mondo, sia per la profondità e l’altezza a cui ci sollecitano, spingendoci lontani dalle paludi di questi giorni: “ Col crescere del numero delle persone prive di diritti si tendeva a prestar meno attenzione ai misfatti dei governi persecutori che allo status dei perseguitati. Questi, pur dovendo la loro sorte a una causa politica, non erano più, come in ogni altro periodo della storia, una passività e una vergogna per i loro persecutori; non erano neppure considerati dei nemici attivi […]; ma erano e apparivano nient’altro che esseri umani la cui stessa innocenza, specialmente dal punto di vista del governo persecutore, era la loro massima disgrazia. L’innocenza, nel senso di assoluta mancanza di responsabilità, era il contrassegno della perdita di ogni diritto” Sosteneva anche, e in questi giorni ve ne é stata testimonianza, che “Le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista”; tuttavia, almeno da ciò, provo umilmente a distanziarmi nel mio agire quotidiano.”
Dario Striano
I commenti sono disabilitati