I ricordi che passano attraverso il dolore non muoiono mai: in vita, morte e miracoli di mast’Aniell’, il pittore delle piogge parigine, del Vesuvio e della sua Ventotene
Il ricordo passa attraverso un odore forte. Che penetra le narici e arriva alla gola e poi scende fino al cuore. E sa di malinconia e allegria al tempo stesso. Sa della gioia di avere avuto la fortuna di viverle, certe persone. L’amarezza per averle perse anche se poi le ritroveremo. Tutte.
L’odore, dicevamo. Un odore di pittura a olio. Un odore che sa di lentezza e colori scuri. Di pennelli minuscoli e tocchi leggeri. Di pause e occhiate di sbieco. A tratteggiar sagome di folle ferme eppure indaffarate, a popolare un mondo che da bambina sognavo. Il Mondo. Sagome di spalle, doppiate dalle ombre sotto i lampioni di Parigi. Sagome proiettate nelle pozzanghere di qualche strada dove aveva sempre piovuto da poco.
Seguivo quelle signore dai cappotti scuri lunghi fino al polpaccio, con i colletti brevi, le spalle scese. Con i cappellini piccoli e graziosi. E i guanti.
Seguivo i signori con l’ombrello col manico a ricciolo. Andavano lenti e senza fretta, composti, eleganti. Guardavo le carrozze. I cavalli. Osservavo una vetrina, ma era sera e tutti andavano da qualche parte. Forse a casa. Passeggiavo da ferma con loro su quelle strade lastricate, lucide di pioggia, tra vecchi palazzi di una città che da ogni suo scorcio trasudava quel Mondo che ero ansiosa di conoscere. E che già conoscevo. Uomini e donne senza volto. Un tratto di rosa e bianco bastava. Bastava a dare a ognuno di loro un’anima. L’anima di un pittore che in pochi metri quadrati, tra pareti stonacate, sotto un tetto basso e un po’ umido, spalancava piccole finestre sul Mondo. Due scalini, da scendere, per entrare in quella dimensione magica. Emozionante. Che neanche i grandi musei, dal Cairo al Prado, mi hanno, anni dopo, mai ridato.
Una pace che dà il tempo per sognare, fantasticare, immaginare. Come solo da ragazzini si è capaci di fare. In un tempo che è anche un luogo, sospeso eppure reale. Una dimensione che neanche le decine di “Bonaser’, mast’Anie’”, di tutti quelli che passavano e salutavano, riuscivano a disturbare. E lui, mast’Aniell’, rispondeva al saluto riconoscendo dalla voce tutti quelli che passavano, senza neanche doversi girare. Conosceva tutti. E tutti conoscevano lui. Come lui, pochi altri.
For’ o pont’, in piazza Amodio, c’erano dei pilastri viventi. Mio nonno, Geretiello o ciclista, se n’è andato vent’anni fa, era uno di quei pilastri. Affianco a mast’Aniello, per cinquant’anni, c’è stato lui. Due porte più in là, a riparare prima Motom e poi biciclette. E a far bucature alla gomme. A decine, ogni giorno. Dalla mattina alla sera. La camera ad aria la metteva in acqua, per vedere dove stava il foro: aspettava le bollicine e via. Mi ricordo quella bagnarola piena d’acqua scura che stava sotto la porta della “puteca” ed esalava un odore pungente e caldo, un odore che ancora sento. Come quello delle gomme e della miscela. Odore di casa.
Sono passati venticinque anni, ma quegli odori di quella piazza mi sembra di averli sentiti ieri per l’ultima volta. E le tele di mast’Aniell’ le tengo fisse negli occhi come se ce le avessi davanti in questo preciso momento. Vedo un ricciolo di rosa, mi allontano e scopro un enorme pianta a fiori minuscoli. Uno sbuffo bianco su una chiazza grigia dai contorni arrotondati. È un mare in tempesta che frange una scogliera di notte. Sullo sfondo, ombre che parlano.
Ci faceva pitturare su quei fiori, su quelle onde, mast’Aniello, a completare quello che lui aveva già dipinto, noi “apprendiste”. C’ero io. C’era Giusy, nipote di Giggino Pignuolo, fruttivendolo che ai tempi nostri, i tempi di tiktok, sarebbe diventato una star: era un comico nato. Un altro pilastro, che stava un po’ più su rispetto alla piazza, ‘ncoppe Pollena.
Quei ricordi non li cancellano gli anni, non sbiadiscono e non sfumano. Non eravamo iperconnessi né iperfotografati. Ho passato interi pomeriggi da mio nonno e con mast’Aniell’, ma non ho neanche una foto di quei giorni. Eppure mi ricordo tutto. Immagini, voci, odori. C’ho tutto nella testa. Mentre adesso, affidando la memoria al telefono, alle foto, ai social. Deleghiamo. Diventiamo pigri. E così ci perdiamo i ricordi, quelli veri, e le emozioni, lo spirito delle cose. Tutto passa, ma l’anima no, non passa affatto.
L’anima non muore mai. Che tu sia ciclista o pittore, se lasci una traccia dietro di te, vivrai per sempre. Nei ricordi. Quelli che non si vedono, ma si sentono. Ciao, mast’Anie’. Salutami mio nonno. Parleremo di voi ai nostri figli. Non vi dimenticheremo. Mai.
Mary Liguori
I commenti sono chiusi, ma trackbacks e i pingback sono aperti.