GIUSTIZIA PER MARIO PACIOLLA – A Massa di Somma sindaco e assessori appongono lo striscione e incontrano i genitori del cooperante Onu ammazzato in Colombia

Massa di Somma – Non c’è odio negli occhi che hanno amato e la disperazione  e lo sconforto, al solo nominarlo si trasformano in orgoglio e speranza, anche se Mario non c’è più perché è stato ammazzato in quella Columbia che dopo il campo durato un anno presso le Brigate della Pace pensava di non raggiungere mai. Mario è Mario Paciolla, il cooperante Onu napoletano di 33 anni trovato impiccato in Colombia, a San Vicente de Caguàn, il 15 luglio del 2020 che aveva indagato su un bombardamento compiuto dai militari contro un villaggio di dissidenti Farc, in cui erano morti anche 7 adolescenti. E quegli occhi che non contengono odio ma rabbia mista a speranza sono quelli di Pino Paciolla e di sua moglie Anna Motta, i genitori di Mario. Il suo volto resterà affisso alla ringhiera della Scuola Sabin a Massa di Somma che un domani non troppo lontano ospiterà la nuova sede del municipio del Comune vesuviano. Questa mattina infatti, il sindaco di Massa, Gioacchino Madonna assieme agli assessori Agostino Nocerino, Nicola Manzo, Veronica Pasqua e a Mario Tornatore, un amico della famiglia Paciolla, hanno ospitato i genitori di Mario e con loro hanno affisso lo striscione. “giustizia per Mario Paciolla” non è solo una scritta, né solo il nome dell’associazione che sostiene la battaglia civile dei genitori, delle sorelle e degli amici di Mario perché venga fatta giustizia su una morte che pare di misterioso quasi abbia solo i mandanti. Giustizia per Mario Paciolla, infatti, è un grido non di odio ma di speranza, la stessa che si specchia negli occhi della sua mamma e del suo papà, nei loro racconti di quel ragazzo col sogno di dedicare la sua vita agli altri che parlava sei lingue che in Columbia non c’era andato da volontario ma da osservatore dell’Onu, quell’organizzazione della Nazioni unite che assieme a non presentare i bilanci delle proprie entrate e delle proprie uscite, nonostante sia finanziata da più di cento governi, le morti come quelle di Mario, nel silenzio pensa forse siano solo “incidenti di percorso”.

La signora Anna Motta, la mamma di Mario parla a bassa voce, ha gli occhi tristi ma pieni di luce. “Quando ci hanno comunicato della morte di Mario, abbiamo incontrato il Presidente della Camera Roberto Fico e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, due bravi ragazzi. Abbiamo fiducia nella Procura e nei Ros dei Carabinieri che stanno indagando sull’assassinio di nostro figlio e sappiamo che si sono recati anche in Columbia per le indagini”. Le indagini, nota dolente di una storia dove hanno risposto coi cannoni, quando Mario ci metteva i fiori e il sorriso. Mario aveva studiato prima lingue e poi Scienze Politiche all’Orientale, non era un semplice volontario, parlava sei lingue, conosceva il diritto internazionale e prima di partire per la Colombia che purtroppo non è solo pane e Escobar come ci vogliono raccontare i film, è stato un anno intero ad addestrarsi nelle Brigate di Pace l’organizzazione non governativa internazionale (Peace Brigades International, PBI) attiva nel settore dei diritti umani e della risoluzione pacifica dei conflitti. “La Procura è blindata su tutto, anche sull’autopsia che hanno fatto al corpo di Mario in Italia. Prima che morisse, ci abbiamo parlato”. Mentre la signora Anna parla, Pino orgoglioso ci mostra le foto del figlio nei tanti viaggi fatti. Gli occhi dei genitori sono di una bellezza rara anche quando sono tristi se si parla dei figli. “Mario era preoccupato – continua Anna, in un racconto che magari avrà fatto mille volte agli altri giornali e alla procura di Roma che assieme alla Farnesina conduce le indagini – voleva tornarsene dalla Columbia e aveva anticipato di due mesi il volo di ritorno. Ci aveva raccontato di un litigio con altri cooperatori dell’Onu e che non voleva restarci più lì. Dopo abbiamo saputo che aveva chiesto più volte di essere trasferito in un’altra città”. Quello che i genitori, le sorelle e gli amici da tutto il mondo sanno è quello che sa l’opinione pubblica, per gli articoli di giornali e servii televisivi che raccontano i particolari di questa storia che sembra un film di spionaggio internazionale. Sì, perché la Colombia non è stata e forse lo è ancora il crocevia dei traffici internazionali di droga. Cosa c’è dietro la morte di Mario Paciolla?

Claudia Julieta Duque

Grazie agli articoli, soprattutto della giornalista investigativa Claudia Julieta Duque, per l’autorevole giornale colombiano El Espectador, si sono saputi particolari che nessuno ha detto. Mario indagava sullo sterminio governativo di un villaggio di ribelli Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, l’esercito del Popolo come amavano farsi definire fino al loro scioglimento, dopo una pace firmata col Governo Colombiano e il successivo disarmo dei ribelli, nonostante l’esercito avesse continuato a bombardare dei villaggi). Sarebbe in un dossier che Mario Paciolla fece avere Roy Barreras senatore dell’opposizione e presidente della Commissione per la pace con le Farc, che lo aveva utilizzato per mettere alla berlina il governo, e costringere alle dimissioni il ministro della Difesa, Guillermo Botero, il motivo della morte di Mario, una morte inizialmente considerata un suicidio, al quale però i genitori di lui non hanno mai creduto. È stato “El Espectador”, autorevole giornale colombiano, a pubblicare lo speciale della giornalista investigativa Claudia Julieta Duque. “Mario Paciolla: el costo de la caìda de un ministro?”, è il titolo dell’articolo in cui si racconta del bombardamento del 29 agosto nel villaggio di Aguas Claras, nel comune di San Vicente del Caguàn, in cui morirono 7 ragazzini tra i 12 e i 17 anni; delle indagini della Missione Onu (e di Paciolla) sulle circostanze di quel bombardamento, della fuga di notizie su quel materiale e della successive dimissioni dell’allora ministro della Difesa, Guillermo Botero. “Non mi sento più sicuro in Colombia”, scriveva il giovane pochi giorni prima di morire.

Il giovane non si sentiva più sicuro, tanto che, nel novembre 2019, durante una vacanza a Napoli, cancellò le sue foto personali e della sua famiglia dai social network, rese privato il suo account Facebook, cambiò la password e, anche se lasciò aperto il suo account Twitter, soppresse i suoi tweet; chiese a un amico di eseguire il backup dei dati del suo personal computer e al suo padre, Giuseppe Paciolla, di separare la connessione Internet del suo appartamento da quella della casa di famiglia”.

Tra il 19 e il 21 novembre, sempre in Colombia, Mario Paciolla raccontò a diverse persone vicine che lui e alcuni suoi colleghi della Missione di verifica delle Nazioni Unite assegnata all’ufficio di San Vicente del Caguàn avevano subito cyber-attacchi dopo lo scandalo che due settimane prima avevano provocato le dimissioni del ministro della Difesa, Guillermo Botero. “Insieme ai suoi colleghi della Missione, il volontario delle Nazioni Unite ha documentato i dettagli dell’attentato del 29 agosto nel villaggio di Aguas Claras, nel comune di San Vicente del Caguàn, contro il campo di Rogelio Bolìvar Còrdova, alias Gildardo el Cucho, in cui morirono sette minori di età compresa tra 12 e 17 anni. Attraverso denunce giornalistiche si è poi appurato che molti altri rimasero a terra”.

Mario – trovato morto nel suo appartamento il 15 luglio del 2020 – si sentiva “in pericolo, tradito ed era irritato con i suoi superiori” e aveva informato anche la sua cerchia ristretta di aver chiesto il suo trasferimento in un’altra sede della Missione dopo aver appreso che, per decisione di Raùl Rosende, direttore dell’area di verifica dell’agenzia, parti dei rapporti da lui compilati erano arrivati a Roy Barreras, il senatore che con la sua denuncia e la mozione di censura contro Botero, il 5 novembre, aveva assicurato un duro colpo ai vertici militari e costretto alle dimissioni il ministro. Roy Barreras, presidente della Commissione per la pace del Senato, è stato consultato da Claudia Julieta Duque a proposito di questa ricostruzione dei fatti e ha smentito di aver ricevuto alcun materiale dalla Missione di verifica delle Nazioni Unite sull’attentato a Caguàn, sostenendo che le sue fonti sono stati ufficiali dell’esercito, stanchi delle azioni militari e degli abusi da loro compiuti contro i diritti umani. “L’Onu con noi non si è mai fatta via – continua la mamma di Mario che quando sbaglia qualche data è prontamente corretta da suo marito Pino che continua a sfogliare le fotografie di Mario sul suo cellulare – di contro però abbiamo scoperto che Mario aveva amici che gli volevano in tutto il mondo. Abbiamo conosciuto il suo amico di Palermo dove andava spesso e i volontari della Comunità “Operazione Colomba” di don Bensi. Il calore di l’ha conosciuto e apprezzato, non ce lo ridà indietro ma ci da la forza per lottare affinchè sia fatta giustizia”. In quegli occhi belli della signora Anna e in quelli spesso chini ma azzurri come il mare che amava Mario, di Pino c’è la speranza, nella giustizia. “Perché i semi di vita non si tengono per sé ma si seminano alla terra aspettando che dai germogli poi nascano i frutti”. Anna Motta e Pino Paciolla stanno raccogliendo tutti gli scritti di Mario, per farne un libro, in direzione ostinata e contraria, ma sempre dalla parte giusta: contro gli oppressori.

Paolo Perrotta

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