FOTO ESCLUSIVE. Il degrado di Villa Mascolo, villa settecentesca restaurata dal 2006 al 2013 attraverso 6,5 milioni di euro di finanziamento pubblico, e ora devastata e depredata come come uno dei tanti beni archeologico-culturali rasi al suolo dall’ISIS.

Non siamo a Raqqa o a Kabul ma a Portici, città del Miglio d’Oro e delle sue magnifiche ville settecentesche, perlopiù abbandonate al degrado e all’abbandono. Comune vesuviano di appena 4 kilometri quadrati che conta fin troppi ecomostri: sprechi di danaro pubblico per spettri di cemento, opere mai completate o comunque mai riaperte, del tutto e con continuità, alla cittadinanza. Nelle foto in esclusiva de l’Ora Vesuviana, il degrado di Villa Mascolo (il cui restyling, dal 2006 al 2013, è costato ben 6,5 milioni di euro), ora razziata e vandalizzata come uno dei tanti beni archeologico-culturali rasi al suolo dall’ISIS.

Depredata, vandalizzata, razziata e devastata come uno dei tanti beni archeologico-culturali rasi al suolo in Siria, Iraq e Libia dalle milizie jihadiste dell’Isis. Abbandonata all’incuria e al degrado e dimenticata dalle istituzioni come tante delle bellezze architettoniche presenti nel nostro territorio vesuviano.

Le immagini in esclusiva de l’Ora Vesuviana, che ritraggono l’attuale condizione in cui versano gli interni e il giardino esterno di Villa Mascolo, denunciano l’ennesimo caso di sperpero di danaro pubblico e di chiusura di un bene comunale ai danni dei cittadini di Portici.

L’edificio settecentesco, sito al civico 32 di Via Scalea, in piena Periferia porticese, proprio alle spalle del gioiello, anch’esso divenuto “ecomostro”, Villa Caposele, appare ormai fatiscente, degradato. Il suo parco esterno: una giungla, la cui vegetazione alta e non curata nasconde l’anfiteatro da mille posti, le installazioni ludiche e le opere d’arti contemporanea che avrebbero dovuto attrarre visitatori e scolaresche. Gli interni della Villa: stanze vuote, devastate da raid vandalici, razziate e depredate delle opere d’arte e delle attrezzature installate per rendere il complesso architettonico un importante museo archeologico scientifico interattivo dell’area vesuviana, con mostre temporanee, eventi culturali e comunicativi e tutte le attività connesse ad un polo museale.

Villa Mascolo è tornata ad essere ciò che era prima del 30 gennaio 2006: uno dei tanti “ecomostri” presenti sul territorio porticese, nonostante gli all’incirca 6,5 milioni di euro spesi fino ad Agosto 2013 per il restauro del bene. 3 milioni 700 mila euro ottenuti tramite fondi comunitari, a cui vanno aggiunti i circa 2 milioni stanziati per la direzione dei lavori e la variante in corso d’opera di 700 mila euro, del Maggio 2009, per la “prosecuzione dei lavori a causa di fatti imprevisti ed imprevedibili al momento della progettazione”.

Cifre da capogiro, se si pensa alle attuali condizioni del bene, di proprietà comunale dal 1997, a cui va aggiunta quella di 783 mila euro prevista per la costruzione di un immenso Anfiteatro e attenzionata dalla magistratura in un’inchiesta del 2009, quella denominata “Operazione Miglio d’Oro”, diretta dal pm Graziella Arlomede, che indaga su una presunto giro di mazzette e appalti truccati che vede coinvolti 23 tra imprenditori, politici e amministratori comunali (ora rinviati a giudizio) per progetti dal valore complessivo di 23 milioni di euro:  tra cui il restyling di altri due beni pubblici, il cui accesso risulta ancora impedito alla cittadinanza, Villa Fernandez e Palazzo Caposele.

Cifre da capogiro se si pensa alla solo temporanea apertura del bene, durata pochi mesi, dovuta poi arrendersi, nonostante un affidamento esterno ventennale della struttura alla Cooperativa GepaGroup scarl per circa 80 mila euro annuali (pari a 6,5 mila euro mensili), ai soliti problemi burocratici e di inagibilità a cui la, ora, sfiduciata amministrazione Marrone non ha saputo porre rimedio nel corso di tre anni di incuria e degrado.

Alcune immagini della Villa nel 2013, dopo il restauro

 

PORTICI CITTA’ DEL CEMENTO E DI ECOMOSTRI

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Non è Raqqa e neppure Kabul. Portici, città del Miglio d’Oro e delle sue ville settecentesche, recentemente menzionata al 10imo posto nazionale delle speciale classifica “comuni più cementificati d’Italia”, stilata dallo studio “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici” approntato dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale), conta sul suo territorio di appena 4 kilometri quadrati, fin troppi ecomostri e beni pubblici chiusi ai cittadini: sprechi di danaro pubblico per spettri di cemento, opere mai completate o comunque mai riaperte (del tutto e con continuità) alla cittadinanza. E’ il caso, ad esempio, di Villa Fernandes, edificio di Portici sequestrato alla Camorra nel 1998, la cui vicenda, di recente, è finita addirittura in parlamento.

La scorsa settimana, i senatori Francesco Campanella e Fabrizio Bocchino di Sinistra Italiana hanno depositato un’interrogazione rivolta al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per chiedere di verificare la correttezza di un bando annullato dal Commissario Prefettizio di Portici, Roberto Esposito, per l’affidamento di villa Fernandes. Il bene doveva essere affidato, a titolo gratuito, ad associazioni del territorio attive nel sociale; ma una recente determina dirigenziale ha bloccato l’iter, impedendo così la reale riapertura della struttura.

Il 21 Dicembre del 2015, infatti, sotto l’amministrazione dell’allora sindaco Nicola Marrone, una determina dirigenziale dava avvio alla gara per l’affidamento in concessione d’uso a titolo gratuito dell’ex residenza del clan malavitoso Rea, da pochi mesi tornata nelle mani del Comune dopo una lunga querelle con la Curia.

Con determina dirigenziale n. 774 del 24 ottobre scorso, però, l’attuale amministrazione comunale diretta dal commissario Roberto Esposito, pur in assenza di ricorsi, ha annullato la gara per l’affidamento in concessione ad uso gratuito di villa Fernandez perché, “nel bando redatto e pubblicato dallo stesso ente,- si legge nell’atto di annullamento- veniva omesso, per “mero errore”, il requisito, stabilito dalla delibera n. 149 del 12 marzo 2016, della certificazione da parte dei concorrenti di aver svolto attività nello specifico campo di intervento per almeno 3 anni sul territorio cittadino”.

I senatori di Sinistra Italiana, raccogliendo la segnalazione del neonato collettivo Portici Città Ribelle, hanno però ribadito al Ministro Alfano che l’aspetto per il quale è stata annullata la gara, era invece già presente nel bando che richiamava per intero alla delibera 149 del 12 marzo 2016. “Le offerte delle 3 associazioni partecipanti alla competizione,– si legge nell’interrogazione parlamentare – che ambivano all’assegnazione della struttura per lo svolgimento delle proprie attività sociali, non sono state aperte e sono state restituite ai mittenti, senza che venisse accertato il possesso o meno del requisito oggetto dell’annullamento della gara di affidamento”. “Chiediamo che la villa venga restituita alla cittadinanza in maniera celere e secondo criteri di massima trasparenza – hanno tuonato gli attivisti di Portici Città Ribelle -. Sono decenni che i cittadini, dopo la confisca ai clan del territorio, attendono che la struttura venga messa in funzione. Non è semplicemente un patrimonio comunale, si tratta, piuttosto di un bene comune che va salvaguardato, gestito con attenzione e reso fruibile ai cittadini. Non vorremmo che l’avvio del bando venisse programmato in concomitanza con le prossime comunali a Portici. Non accetteremo altri tagliandi elettorali”.

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E’ il caso, ad esempio, di Palazzo Caposele, una delle ville che fanno parte del cosiddetto “Miglio d’oro” del settecento napoletano, da anni ridotta ad uno scheletro di impalcature che si erge imperioso sovrastando la Periferia di Portici, in attesa di una sua riconversione a sede universitaria, nata “dalla necessità ( con particolare riguardo alla legge n.21/2003 che prevede nella “zona rossa” la riconversione di edifici esistenti di proprietà pubblica, peraltro di notevole interesse architettonico, con conseguente riduzione del carico demografico) di rafforzare il polo culturale -scientifico e di ricerca già esistente con l’Università di Agraria e L’Enea, CRIAI, CAMPEC, recuperando un sito di interesse storicoartistico dell’area vesuviana, e di riqualificare nel contempo da un punto di vista urbanistico – ambientale le aree circostanti“. Il progetto, dal costo complessivo di € 3milioni 300mila euro, si sarebbe dovuto integrare, essendo immediatamente contiguo, con quello di restauro della già menzionata Villa Mascolo.

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Come dimenticarsi poi del “famoso” Mercato Coperto. La struttura di via Arlotta, realizzata da decenni, e finora mai inaugurata. Spettro di cemento che certifica il degrado dell’area mercatale: il centro storico di Portici, una volta cuore pulsante della vita economica della città della Reggia, attualmente “zona di periferia” nonostante divida in due il comune vesuviano. Le tragiche condizioni in cui versa l’edificio, nei cui interni “regnano” magazzini sottoposti a sequestro, e cumuli di rifiuti, anche speciali, avevano spinto negli anni ad ipotizzare il parziale abbattimento della struttura, che ha beneficiato (ai sensi della legge 208/98) di un finanziamento CIPE di 3.098.741,39 euro, ridotto successivamente, a seguito dell’aggiudicazione dei lavori, a 2.664.861 euro. L’ipotesi dell’abbattimento è stata però accantonata per la possibile insorgenza di oneri nei confronti del CIPE, e di responsabilità per danno erariale. Da qui le varie manifestazioni d’interesse della Giunta Marrone che, però, non hanno portato a nessun risultato.

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E ancora: sempre nel comune della Reggia, altre due opere incompiute, da anni, risultano completamente abbandonate, Il Museo del Mare e l’Ex fabbrica Kerasav. La prima, dopo esser stata oggetto di una travagliata vicenda che l’ha vista, prima, finanziata con fondi FAS, abbandonata dall’Arpac; quindi, oggetto di raid vandalici; e, poi, assegnata, più volte, “per pochi euro” ad una società titolare di un albergo ad ore a Giugliano; adesso è tornata di proprietà del comune che ne ha annunciato il riuso per un vero e proprio Museo del Mare che sarà gestito dalla stazione Anton Dohrn di Napoli. La seconda, invece, di proprietà di una nota “famiglia camorristica“, così definita quella Sorrentino dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, con un provvedimento giudiziario del dicembre 2002, dopo esser stata acquistata dall’Amministrazione Spedaliere, per 18 miliardi di vecchie lire, è finita nel mirino della magistratura in un’inchiesta che avrebbe dovuto svelare l’intreccio tra politica e criminalità organizzata, e che ha portato nel 2002 allo scioglimento del consiglio comunale porticese. Inchiesta, però, che si è tradotta in un’assoluzione per tutti gli imputati, con un proscioglimento da parte della Corte di Cassazione.

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Quindi ultime, in questo nostro e incompleto elenco di ecomostri porticesi, le casette dei terremotati che, alle spalle degli edifici popolari 6A e 6b di via Dalbono, continuano a “stazionare”, in evidente stato di degrado. Allestiti come alloggi provvisori post sisma, e divenuti, poi, base di spaccio e luogo di ritrovo per tossicodipendenti, sono in attesa, da anni, di essere rasi al suolo, per poi procedere alla costruzione di due palazzine di edilizia residenziale, bloccata, nel 2011, a causa dell’offerta presentata dalla società vincitrice dell’appalto, perchè risultata essere anomala a causa di un ribasso troppo elevato. Soltanto una sentenza della V Sezione del Consiglio di Stato, nel 2015, ha, però, sbloccato l’annoso contenzioso e si spera che, a breve, le famiglie dei terremotati (che nel frattempo, da 30 anni, abitano i container “provvisori” di Via Scalea) possano essere trasferite in alloggi più dignitosi.

Dario Striano

Andrea Sarno

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