Raffaele Cutolo a Repubblica: “Io sepolto vivo in cella, se esco cade il Parlamento”

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“Se parlo ballano le scrivanie di mezzo Parlamento”. Dopo trent’anni? Gli chiede il cronista che l’ha intervistato dal carcere di Parma.  “Molti di quelli che stanno adesso ce li hanno messi quelli di allora venivano a pregarmi. Per dignità non mi sono mai venduto ai magistrati. Se la sono legata al dito e hanno buttato la chiave”. Essendo sepolto vivo, Cutolo non ha un volto né un corpo. Puoi solo immaginarlo per come lo descrivono.  Parla con Repubblica attraverso la moglie e il legale. Adesso è a Parma. Tredicesimo carcere della sua vita. Tredici come gli ergastoli. “Non vedo nessuno e nessuno mi vede. Soltanto mia moglie e mia figlia, un’ora ogni due mesi perché non hanno soldi per salire una volta al mese”. Denise che è nata con l’inseminazione artificiale, “l’unica concessione che ho avuto dallo Stato”. Ha lo stesso sguardo mobile e scaltro del padre, a Carnevale ha pattinato sul ghiaccio a Ottaviano vestita da Principessa delle nevi e adesso che ha 7 anni capisce. “All’ultimo colloquio, dieci giorni fa, mi chiede “papà ma tu stai in una gabbia?”. Mia moglie la prende in braccio: “Papà è qui perché deve insegnare agli altri a non fare gli sbagli che ha fatto lui”. Ma è sveglia. “Papà, non eri qui perché avevi fatto male a una persona? Non le puoi chiedere scusa e venire a casa?” Le dico, forse sbagliando, “questa persona è morta””. Fosse soltanto una. E vai a spiegarle che nessuna se ne è andata inciampando, cadendo e battendo la testa. Nel pezzo da scuola di giornalismo dell’inviato di Repubblica paolo Berizzi è un susseguirsi tra pubblico e privato, tra desideri e disincanto. Perché anche i boss, anche quelli più sanguinari sperano ancora. Forse.  “Mi hanno usato e gonfiato il petto, da Cirillo a Moro che, a differenza del primo, hanno voluto morto e infatti mi ordinano di non intervenire: leva ‘e mani (togliti di mezzo, ndr) mi disse Vincenzo Casillo (il suo braccio destro, detto ‘o Nirone, ucciso a Roma il 29 gennaio 1983, ndr). Poi mi hanno tumulato vivo. Sanno che se parlo cade lo Stato”. Misteri italiani. Segreti italiani. A Parma ci sono anche Riina, Bagarella, il “Nero” Massimo Carminati. E Dell’Utri. Cutolo è invisibile. 51 anni in cella a parte un anno di latitanza tra ’77 e ’78 dopo la fuga dal manicomio giudiziario di Sant’Eframo, 36 anni in isolamento totale (dall’82 e quindi dieci anni prima del 41 bis), un numero imprecisato di omicidi commissionati e nove assoluzioni negli ultimi nove anni. “Mi è talmente entrata sotto pelle questa condizione di defunto in vita che ormai non mi va nemmeno più che la gente mi veda. Ai processi rinuncio alla videoconferenza. Salto anche l’ora d’aria. Se per respirare un’ora devo farmi perquisire e sottopormi a controlli umilianti, preferisco stare in cella. Allo Stato servo così. Pensano sia ancora legato alla camorra. Ma quale camorra. Pagina chiusa dal 1983, quando ho sposato Tina nel carcere dell’Asinara (presente un giovane Luigi Pagano, oggi vice capo del Dap). Pago e pagherò fino alla fine. Ma non sono un pericolo. Sarei pericoloso se parlassi, ma non ce l’hanno fatta a farmi diventare un jukebox a gettone: il pentito va a gettone. Parla e guadagna. Un ulteriore oltraggio alla memoria delle vittime. Ho una telecamera puntata sul gabinetto – continua il racconto al cronista –  Non posso avere in cella più di tre paia di calzini e mutande. Vorrei mi spiegassero il senso. Ho sempre tenuto a essere in ordine. Sono figlio di contadini ma la cura di sé è importante. La insegnavo ai miei uomini”. E poi racconta l’ascesa, dal primo raptus criminale all gestione del potere “anche a Roma”.  “24 settembre ’63, otto colpi di revolver contro Mario Viscito, giovane ottavianese come me. Una rissa, mi parte la testa. Ventiquattro anni. Ne avevo 22”. Autonoleggiatore abusivo, soprannome Rafele ‘e Monaco in quanto figlio di Giuseppe Cutolo, detto ‘o Monaco per la sua religiosità. “Volevo rifondare il Regno di Napoli. Uno Stato sociale indipendente dove chiunque potesse avere da mangiare”. In una lettera recente l’ha chiamata in un modo ancora più paradossale: “La mia rivoluzione”. “Ho smesso di essere personaggio. L’idea della dimenticanza non mi dispiace, vorrei solo che questo avvenisse nel rispetto della dignità di un uomo. Mi sono pentito davanti a Dio ma non davanti agli uomini”. Aggiunge. “Non ho imperi, non esistono più i cutoliani. Cutolo è morto. Resuscita per un’ora solo quando viene sua figlia e gli da una carezza”. Se n’è appena andato Pasquale Barra, il suo boia di fiducia. Anche il primo a tradirlo: “Ognuno fa le sue scelte. Barra ha avuto un’infanzia difficile. Ma ha rovinato il povero Tortora. Che Enzo Tortora era innocente lo dissi da subito. Chiesi ai magistrati di essere interrogato. Non mi vollero nemmeno sentire”.

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