LA POLITICA IN LUTTO – Ciao Gaetano, socialista e credente. Praticante per “struscio”, disponibile con tutti

San Sebastiano al Vesuvio – Ciao Gaetano. “Ciao”, perché “addio” stride con la tua vita corsara. Con Gaetano Panico  se ne va una matrice importante dei nostri territori. Gaetano Panico non è stato solo in ordine: l’amministratore pubblico, il sindacalista, l’imprenditore, il marito, il padre e ultimamente il nonno più elegante del mondo. no, è’ stato tutte queste cose assieme. Quando questo giornale nasceva, il potere forte dei socialisti (Gaetano lo era, come papà mio) era in caduta libera, Raffaele Capasso era un sindaco troppo ingombrante per la Svizzera che aveva creato sotto il Vesuvio e per il figlio (Pino) che nonostante l’eredità, quando ha fatto solo il sindaco l’ha fatto bene. Gaetano Panico stava lì. Fermo  e rispettoso di una politica che col tempo cambiava, ma che lui si ostinava a tenere vincolata ai valori civili. Gaetano è stato un corsaro, sia chiaro. Non penso sia mai stato un chierichetto, ma ha sempre anteposto a tutto i valori della famiglia. Era un uomo intelligente. Scaltro ma non cattivo. Era un uomo riconoscente, anche troppo secondo me. Lo è stato coi Capasso sempre e comunque per Raffaele, il condottiero.

Gaetano Panico è stato, senza brevetti o posti nei cda, anche l’inventore delle crociere low cost da vendere a blocchi agli anziani, alle colonie, ai gruppi scolastici. Prima delle tante crisi e anche dopo, il turismo crocieristico a Napoli e Campania era targato Gaetano Panico.

La politica, messa in second’ordine solo da Lina, sua moglie. Donna bella, elegante e cortese. Una donna d’altri tempi che in tutto e per tutto gli reggeva il gioco. Quando io e Gatenao litigammo per un articolo che ritenne oltraggioso della memoria del sindaco (non lo era affatto), fu Lina a mediare. “Vi volete bene”. Era vero. Gaetano mi voleva bene e io ne volevo a lui. Ho imparato ad apprezzarne le rughe che aumentavano sempre di più e la maniacale documentazione: conservava tutto. “Qui è quando facemmo il blocco: Gava e la Dc pensavano che fosse tutta Castellammare, qui il cuore e il garofano sono rossi. Raffaele Capasso dimostrò strategia, era un’altra cosa. La democrazia cristiana era fortissima, ma i socialisti avevano un’identità e tutti ci riconoscevamo nei nostri leader”. Gaetano il leader non l’ha mai voluto fare, anche quando sono stati preferiti a lui sindaci che avevano un curriculum politico e amministrativo meno importante. Gaetano sapeva aspettare. L’ha fatto quando proprio Pino Capasso di quel rapporto che Gaetano aveva col papà non ne fece scudo e fece vincere gli equilibri di palazzo e si decise che Gaetano Panico in quel palazzo non ci dovesse più stare. Erano gli anni che i ragazzi piccoli (Gianluca e Alessandro) erano diventati grandi e i grandi (Savio e Peppe) forti al punto di camminare sulle loro gambe. “Prendiamoci un caffè” mi disse al telefono. Ci incontrammo allo studio suo, sotto casa, nella “corazzata” come io chiamavo quello spazio modulare per le campagne elettorali, per l’ufficio delle agenzie di viaggio e per i vari progetti dei ragazzi. Gaetano aveva chiaro il ragionamento, prima di farlo. “Secondo te? Come la vedi?”. Sapevamo entrambi che Peppe, attuale sindaco di San Sebastiano, si stesse staccando dal partito e dalla maggioranza per creare un gruppo suo. Sapevamo entrambi che nonostante tutto, da solo non ce l’avrebbe mai fatta. “Come la vedo? Tra un Capasso e un Panico tu con chi stai?”. “Sto con mio figlio. È bravo. Può diventarlo ancora di più se impara a se sta zitto….”.

Da quel giorno la corazzata, come io chiamavo l’ufficio di Gaetano Panico si mise all’opera. Gaetano i social non li conosceva, non so se ultimamente si fosse convertito allo smartphone. Riprese le agendine, le cartelline, i fogli di giornale su cui appuntava tutto. “Mi faccio lo schema” e iniziò a chiamare tutti. Io scherzando gli dicevo che così era voto di scambio e lui candidamente mi rispondeva “non ho mai scambiato niente e se ho potuto aiutare qualcuno l’ho fatto perché sono fatto così e quando mi imponevo di non essere magnanimo con tutti se metteva Lina che mi spingeva ad aiutare gli altri e poi mi diceva che stavo stanco e mai a casa. Poi don Gaetano e mò il nipote”.

Gaetano era anche credente, praticante per devozione al suo santo e per “struscio” perché i politici dalle parti nostre valgono anche per quanto vicino stanno al Santo quando esce in processione. E Gaetano da ragazzino fino a quando ci ha partecipato è stato sempre vicinissimo al Santo.

Questo è uno dei motivi per cui scrivo ora e non prima e ho preferito passare a casa a salutare Lina e i ragazzi (i grandi e i piccoli). Ai funerali avrei incontrato tanta ipocrisia. Gaetano non era ipocrita. Era uno stratega astuto, ma non ipocrita e rispettava ancora la parola data. Prima della sua ultima campagna elettorale, ci salutammo nella corazzata con un abbraccio. Lo guardai e in lacrime ci dicemmo tutto senza dirci nulla perché prima gli dissi che anche a me avrebbe fatto piacere avere papà vicino nella guida de l’Ora Vesuviana, ma invece me lo trovavo contro con la scusa di non farmi mettere nei guai. Quando Peppe Panico è stato eletto sindaco di San Sebastiano al Vesuvio, Gaetano stava nella corazzata e poi è arrivato al Comune. Il suo Comune e non nel senso di possesso, no. Per lui e per una serie di vesuviani, anche giovani, essere di San Sebastiano al Vesuvio (ma anche di Massa, Pollena  e così via) era appartenere con orgoglio a una famiglia e in casa non esiste il possesso ma la condivisione. Durante la campagna elettorale Peppe, il sindaco di San Sebastiano al Vesuvio, mi disse che il papà non stava bene e si stava aggravando. Savio mi telefonò: mi metto in aspettativa, Gaetano da solo non ce la fa, ma questa è una campagna elettorale importante. In quel periodo stava lavorando al palinsesto sportivo. Gli dissi di occuparsi d quello che sapeva fare, in strada e nelle case ci dovevano andare Peppe e Gaetano. “vedi se ti piace il video”. Savio stava facendo quello che sa fare. Amici di San Sebastiano mi dicevano che Peppe stava arrivando nelle case di tutti e che non c’era uno solo della sua squadra che non piaceva. In strada vedevi Peppe Ricci elegantissimo che si faceva il caseggiato in tods e  Lacoste. Tutti sembravano trottole. Peppe davvero ha fatto una campagna elettorale con lo schema. Si scontravano due scuole: la corazzata socialista dei Panico e il rampantismo del Pd che faceva acqua da tutte le parti. Gaetano era elettrico, nonostante la malattia. Sembrava quando agli imbarchi coordinava con la Bic e il bloc-notes famiglie intere in partenza per la crociera. Chiamava, segnava, metteva e toglieva freneticamente gli occhiali. “Mi chiamo anche i vecchi che dici? L’unica cosa è che poi resto male se sono morti” mi disse. Mi arrivò un messaggio di Antonio DImitry, amico mio e di Peppe, il figlio di Geppino storico socialista come Gaetano. “Peppe Panico Sindaco a San Sebastiano. Mi raccomando”. Più o meno lo stesso messaggio mi arrivò anche da esponenti regionali del Pd, con qualcuno l’aggiunta e per me è un valore aggiunto: figlio di Gaetano compagno socialista. Avevo notato della stanchezza negli ultimi incontri che avemmo, ma l’adrenalina per un Panico candidato a sindaco, tolse dal viso i segni del dolore per lasciare quelli dell’età.

“Peppe farà una campagna elettorale pulita. Lo so che ci massacreranno dicendo che fino a ieri ha fatto il vice sindaco di Salvatore Sannino, ma noi andremo per la nostra strada. L’hai vista la squadra? Sono giovani, hanno voglia di fare. Loro fanno gli inciuci? Questi vanno a bussare ai citofoni. Assia e Ignazio li conosco da quando sono nati. Noi qui ci conosciamo tutti”.

Quando morì papà, Gaetano mi telefonò. Mi invitò a pranzo una domenica, io non ci andai. Poi ci incontrammo poco dopo fuori dal Chimico (penso il Bar di Tonino si chiami Bar Centrale) mi abbracciò e mi disse “forza”. Nonostante stesse male era sempre lui che dava forza a me.

Ciao Gaetano, faccia da film western sempre pieno di carte e cartuscelle. Ciao Gaetano per quanto bello eri con Lina. Ho visto le facce dei ragazzi, i grandi e i piccoli. Penso tu debba sentirti fiero di loro e non perché sono vincenti nella vita. No. A casa tua per darti l’ultimo saluto c’erano le “ragazze” di Village il format televisivo che si inventò Savio, oggi donne affermate. C’erano i rivali politici di Peppe in lacrime per quello che sei stato e non hai mai fatto il chierichetto. C’erano e me li ricordo perché un giorno ti accompagnai quando andasti a spiegargli che avrebbero dovuto chiedere la concessione, i mercatali del mitico mercatino di San Sebastiano al Vesuvio. Sentivo che la mattina erano passati il signor Msc e il signor Costa, persone che hai conosciuto quand’erano “accussì” e facevi il segno di poco più che un metro di altezza. So che gli ultimi anni della tua vita, dolore e dolori a parte, li hai vissuti bene. Leonardo “il biondo” il figlio di Alessandro ti rivoluzionava la vita e assieme a Lina ti riempiva le giornate. Non sono contento te ne sia andato, sia chiaro. Ma siccome prima o poi tutti quanti lo faremo, sono contento che (dolori a parte) l’abbia fatto così. Con un Panico sindaco e un Leonardo che ti salta addosso.

Paolo Perrotta

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