Fabbrica esplosa a Ercolano, la madre delle vittime: «Giocano con le vostre vite, non accettate lavori in nero», gli imputati puntano al rito abbreviato per uno sconto di pena
«Non accettate mai di lavorare in nero e mi rivolgo soprattutto ai ragazzi. Questa gente gioca con le tue vite. Voite la morte e poi vi scaricano rischiando di non essere responsabili». Lucia Barile è una donna distrutta. Le sue figlie, le gemelle Aurora e Sara Esposito, sono morte a soli 26 anni mentre lavoravano a Ercolano in una fabbrica abusiva di fuochi d’artificio. Nel terrificante scoppio del 18 novembre 2024 perse la vita anche un altro giovanissimo operaio irregolare, il diciottenne Samuel Tafciu. Il processo di primo grado in questi giorni sta approdando alle battute finali: sono imputati coloro che vengono ritenuto i datori di lavoro dei tre ragazzi deceduti, Pasquale Punzo e Vincenzo D’ Angelo, per i quali sono stati chiesti venti anni di reclusione. Per il terzo e ultimo imputato, ritenuto il fornitore della polvere da sparo, invece sono stati chiesti 4 anni di reclusione.
E’ stata celebrata l’udienza dedicata alle discussioni delle difese e Lucia Barile, lasciando il Nuovo Palazzo di Giustizia di Napoli, non ha fatto mistero di tutta la propria indignazione: «Ancora una volta ho ascoltato soltanto bugie, ma confido in una sentenza giusta».
Uscendo dall’aula 410, dopo aver anche subito un malore, la donna ha poi aggiunto: «Anche oggi ho ascoltato bugie pesanti. Per quel lavoro in nero le mie figlie prendevano 150 euro a settimana e adesso ci ritroviamo a parlare di tre omicidi. Per me sono tutti colpevoli». Lucia Barile e alcuni familiari hanno poi incontrato all’esterno del tribunale il deputato Francesco Emilio Borrelli, promotore di un sit-in di solidarietà: «Siamo qui, uniti al dolore e alla rabbia composta dei genitori di Aurora e Sara Esposito e dei parenti di Samuel Tafciu, per ribadire che la loro richiesta di giustizia non è soltanto la loro, ma anche di un’intera comunità che non accetta che i propri figli vengano sacrificati sull’altare del profitto illecito. Non è stata una fatalità, ma un crimine premeditato».


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