LO SCOOP DI REPUBBLICA A Somma Vesuviana anche esponenti delle forze dell’ordine sospettati di pressioni sul voto . L’articolo di COnchita Sannino

Somma Vesuviana – “Chiariamolo subito. I clan, almeno finora, non c’entrano. C’è invece una storia inquietante di pressioni e abusi, anche da parte di chi indosserebbe una divisa di Stato, nella clamorosa vicenda di defezioni che segnano la vigilia delle amministrative a Somma Vesuviana. Rinunce a raffica, tra le quali spiccano quelle del capolista di “Somma in Centro”, e del candidato sindaco del Pd. Un clima di paura, con la sostanziale rassegnazione di società civile e partiti: nascosti dietro comode note di “solidarietà”. Scrive in aprtura di pagina l’inviata di Repubblica Conchita Sannino, una tra le migliori croniste di nera nazionali. Anche noi avevamo raccontato delle denunce e di un fascicolo secretato in Procura. Oggi quel fascicolo vien fuori, ne da notizia Repubblica Napoli che a chiare lettere, nomi e cognomi, racconta tutta la vicenda. In alcuni tratti, copiamo e incolliamo l’articolo apparso a pag VII di Repubblica Napoli a firma della Sannino. “La svolta arriva quando un consigliere regionale, – racconta passo per passo lo scoop di Repubblica – Carmine Mocerino – l’ex ras politico dei centristi, attuale presidente della commissione antimafia regionale – varca il Palazzo di governo (notizia nota). E consegna al prefetto di Napoli, Carmela Pagano, una lettera (che era rimasta segreta) in grado di innescare un’inchiesta coperta da estremo riserbo. Scenario che induce a interrogarsi: visto che una regia occulta ha, di fatto, determinato il ritiro di almeno 4 liste e di un candidato sindaco, sono garantite a Somma condizioni di agibilità per lo svolgimento di libere elezioni? Un carabiniere tra i sospetti Troppi forfait, nella corsa ai seggi di Palazzo Torino, dove persino la camorra – atti giudiziari del processo D’Avino, in cui è citato ma non indagato lo stesso Mocerino – aveva imparato a destreggiarsi: fingendo consenso a uno, per “far salire” l’altro. Stavolta, si sa soltanto che qualcuno non gradisce alcune candidature: e non fa niente per nasconderlo. I primi a sfilarsi sono due candidati giovani, che fanno capo a Mocerino. Poi gli viene meno anche un amico: è l’imprenditore Luigi Mele, 44enne, destinato a fare il capolista di “Somma Centro” , che doveva drenare i circa 2500 voti di cui dispone Mocerino verso il candidato sindaco di area Pd, Giuseppe Bianco, stimato primario al San Giovanni Bosco. Mele incontra l’amico Mocerino: «Mi ritiro. Non posso mettermi contro le forze dell’ordine». Così gli racconta una scena che apparirebbe credibile nel Sud America di cinquant’anni fa e non nell’Italia del 2017. Repubblica è in grado di ricostruirla, grazie a testimonianze dirette e autorevoli fonti. Stando alla narrazione di Mele, sarebbe stato il comandante della stazione locale dell’Arma, militare impegnato in passato in diverse attività di contrasto all’illegalità, il maresciallo Raimondo Semprevivo, a “invitarlo” a desistere. Non in una, ma in due occasioni. Il maresciallo, noto un po’ come “sindaco ombra”, è amico di Celestino Allocca, figlio dello storico primo cittadino di centrodestra (Raffaele detto Ferdinando ), area Fi di Paolo Russo. E casualmente lo stesso Celestino è candidato sindaco di Fi a Somma per le prossime amministrative. Il 7 maggio Mele consegna una lettera a Mocerino. Che la gira al prefetto di Napoli. Subito dopo, sia Bianco che Mele vengono sentiti dai carabinieri di Castello di Cisterna. Il riserbo è totale. Repubblica chiede un commento al comando provinciale guidato dal colonnello Ubaldo Del Monaco. L’ufficiale non commenta. Dall’Arma filtra un unico messaggio: «Accertamenti in corso. Una cosa è chiara: di fronte ad elementi che dovessero assumere profili penali, o anche disciplinari, non guarderemo in faccia a nessuno».Il j’accuse della lettera. Ecco cosa scrive Mele a Mocerino, nel testo mostrato al prefetto. «Caro Carmine, come ti anticipai, ho maturato la ferma consapevolezza di non partecipare alla prossima competizione elettorale come capolista. E, a salvaguardia del nostro forte legame, sento la necessità di lasciarti una traccia scritta (…). Oltre al frastagliato quadro politico, a indurmi ad assumere questa irrevocabile decisione, sono valutazioni legate a una particolare situazione locale: sul versante di possibili condizionamenti di natura non politica». Cosa significa? «In via del tutto confidenziale, ti rappresento di aver personalmente ricevuto da parte di locali esponenti delle forze dell’ordine l’invito a desistere dal candidarmi con la nostra lista. Non mi sento nella condizione di poter liberamente e serenamente partecipare alla competizione elettorale. Spero in futuro di poterti ancora mostrare stima e affetto». Un racconto che, a quanto sembra, il signor Mele ha fatto anche ai carabinieri di Castello di Cisterna. Indaga la Procura di Nola, guidata dal procuratore reggente Stefania Castaldi, già pm anticamorra di lunga esperienza. Anche da quel fronte, un secco “no comment”. “Mi fermò in divisa”. Mele, giorni dopo, ha parlato, in qualità di testimone, per quattro ore dinanzi al capitano Tommaso Angelone. Avrebbe raccontato di almeno due faccia a faccia tra lui e il maresciallo Semprevivo. Il primo contatto avviene in strada. Mele viene salutato e invitato ad accostare dall’auto dei carabinieri. «Ma tu sei sempre stato con il centrodestra, ma che cosa c’entri con il centrosinistra? Chi te lo fa fare, ma evita…», gli direbbe il maresciallo. Il comandante gli dà poi appuntamento in caserma. E tornerebbe sul punto: «Evita, lascia stare». A che titolo si comporterebbe così, un maresciallo esposto in varie operazioni anticamorra? Stando a indiscrezioni, il comandante sarebbe sereno e deciso a difendersi. Non è escluso che, anche a sua tutela, venga ascoltato dagli inquirenti. Bianco e il Pd in fuga. Nelle stesse ore, Bianco riceve lettere e telefonate anonime. I “molestatori” gli ordinano di farsi da parte. Gli farebbero balenare l’idea che sia ricattabile per via di un presunto abuso, antico, legato alla storia di una realizzazione di una piscina. Bianco, che nulla ha da temere, getta la spugna. Chiama, quasi di notte, i vertici del partito, avvertito anche un parlamentare antimafia. Solo poche ore prima, Bianco aveva detto a tv locali: «Mi voglio spendere. Sono grato al Pd per avermi voluto candidare». Ora appare irremovibile: questo clima è spaventoso, non ci sto, dice. Repubblica bussa anche alla sua porta. Ma la risposta è laconica: «Mi spiace. Tutto quello che avevo da dire, poco o molto, l’ho detto agli inquirenti. Vi pregherei di non mettermi a disagio». Assordante il silenzio Pd. Che non va oltre la “solidarietà”: e rinuncia a correre. Il deputato della commissione antimafia, Massimiliano Manfredi, lucidamente registra: «Una sconfitta per tutti». Non solo i dem perdono il candidato sindaco, ma non hanno, evidentemente, neanche la forza per presentare una lista come simbolica battaglia di resistenza sul territorio. Fine del film. Non una spiegazione

pubblica, non un’assemblea popolare, non una manifestazione. Al netto di reali o presunte intimidazioni – consumatesi alla luce del sole per settimane – resta l’immagine di partiti inesistenti e di un Pd non pervenuto: come se la politica fosse un posto in platea (prima fila o decima, dipende) da dismettere a seconda di convenienze. E non un esercizio di democrazia, regolato da doveri di responsabilità e di etica, da coltivare nei riguardi dei cittadini”. Uno scoop, maestro di giornalismo in un punta di penna e troppi scenari inquietanti in una Somma Vesuviana che meriterebbe di non essere affossata ma rilanciata.

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