FECE UCCIDERE IL FIGLIO DI RAFFAELE CUTOLO – Tonino il napoletano oggi ai domiciliari, sarà libero a inizio 2018

 

Succedeva così, in tutti gli eserciti. Gli omicidi sono diretti, di rimbalzo e per piacere. Così, secondo l’esecutore materiale è accaduto per l’assassinio nel Tradatese di Roberto Cutolo, figlio del boss della Camorra. Era il 1990. In base a quanto fu ricostruito a processo, fu uno scambio di favori tra i Fabbrocino di Mario ‘o Gravunaro e Antonio Schettini, Tonino il napoletano, prima killer spietato della ndrangheta e poi boss di fama internazionale, sempre per l’organizzazione calabrese che a Milano ha i suoi affari maggiori, da sempre. Lui oggi nega: «La realtà è diversa – assicura -. Io ero il mandante, ma non c’entrava la storia coi Batti. Fu per Jimmy Miano». Altro capo clan amico, ma catanese: «Ne feci contenti cinque ammazzando Cutolo Jr. Una volta sistemata la cosa, telefonai a tutti». «Tonino» il napoletano nel ‘90 fece uccidere il figlio di Cutolo: Questi per lui ultimi mesi ai domiciliari. La sua casa confiscata accoglierà donne in difficoltà, scrive la cronista di nera  del Corriere della Sera Maddalena Berbenni.

Tonino il napoletano, l’uomo dei 59 omicidi, 37 eseguiti, gli altri ordinati o organizzati per conquistare e poi mantenere il controllo sul traffico di droga lungo l’asse Milano-Lecco, tra gli anni Ottanta e Novanta. Tempi di killeraggi e discoteche, miliardi e sante alleanze. Di donne e armi. Di pentiti, anche. Lui a suo modo collaborò e così si spiegano i soli 26 anni di carcere, quasi tutti in 41bis, il regime di sorveglianza speciale riservato ai detenuti più pericolosi, quello al quale l’amico Franco Coco Trovato, di cui era il braccio destro, ha dedicato la sua tesi di laurea in Giurisprudenza. L’ha discussa il 20 ottobre scorso, a Rebibbia, dove è rinchiuso. A inizio 2018, avrà finito di scontare la sua pena e allora sarà un uomo libero. Eccolo qui, Tonino, davanti al cancello di via Martin Luther King 15, a Suisio, con i vicini che lo riconoscono e ci scambiano due parole: “Mi saluti la moglie”. Niente più completi gessati, solo jeans e giubbotto. La sua carriera criminale, adesso, è un po’ come la piscina nella villetta confiscata per mafia. Sottoterra, ma ancora lì. Il pezzo della collega della sera è bellissimo. Ripercorre passo dopo passo la carriera di un killer senza scrupoli che vestiva in gessato e oggi gira coi jeans.

«Io adesso ho metabolizzato tutto – racconta seduto in un bar -, col senno di poi mi è dispiaciuto per le persone che ho ammazzato, due mi pesano in maniera particolare: si sono trovati nel posto sbagliato al momento sbagliato. Comunque, di gente ne ho anche salvata tanta: mi sono rifiutato di uccidere chi non c’entrava». Schettini si trasferisce al Nord nel 1979. Due anni dopo entra nella villetta di Suisio, oggi proprietà comunale. A giorni riaprirà come casa di accoglienza per donne in difficoltà: «Avrei preferito un centro di riabilitazione, avrebbero potuto sfruttare la piscina», pensa. A Calusco d’Adda, sul confine con Lecco, terra dei Trovato, ai tempi apre il ristorante O’ Scugnizzo. È dove tutto ha inizio: «Mi vennero a cercare, io non dissi di no». Gli serve poco tempo per scalare: «Dal mio locale è passata tutta la malavita. Solo due non ne ho conosciuti, ma per mancanza di tempo: Riina e Provenzano». Si affilia alla ‘ndrangheta, si fa battezzare picciotto e finisce per passare dall’ala mite, «una specie di mutuo soccorso», spiegazione sua, a quella esecutiva dell’organizzazione. Diventa «evangelista», anche se le doti gli importano fino a un certo punto: «Il valore della persona non lo fa il grado», è convinto. Ciò che ha sempre fatto la differenza, nel suo caso, è stato «nascere nei vicoli di Napoli, tra l’altro da una famiglia perbene. Mio padre faceva il ferroviere». Passa davanti a una chiesa e si fa il segno della croce. «Se cresci nei vicoli, le persone ti basta guardarle negli occhi per capire. Impari ad arrangiarti e io, di fronte a ogni ostacolo, ho sempre trovato una via d’uscita».

Coinvolto nelle maxi indagini Wall Street e Count Down, Schettini finisce in cella nel 1992 per l’omicidio del narcotrafficante Alfonso Vegetti, a Cinisello Balsamo: «Ma io non c’ero nemmeno». Nel ’94 inizia a collaborare e nel 2001 è fuori con altri 78 boss per un pasticcio della giustizia: erano scaduti i tempi di detenzione prima del processo di appello. Per Tonino il tribunale dispone il soggiorno obbligato a Pisa, «dove ho ancora una barchetta». Ma nel giro di poco si scoccia, sparisce e la Squadra mobile lo riporta dentro. Gli agenti lo catturano inscenando un cantiere in autostrada, a Melegnano. Carcere duro: «L’essere umano si abitua a tutto – ribatte -. Io guardavo un sacco di documentari: Quark, Gheo e Gheo, Turisti per caso». E comunque le leggende sulla sua detenzione si sprecano. «Fuori oggi è uno schifo, è tutto in mano agli stranieri, bisognerebbe fare un casino per ripartire»

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