Assolto con formula piena il prof Vincenzo Liguoro. Il fondatore della onlus Mamafrica era accusato di abusi su minori ed era confinato ai domiciliari

Pollena Trocchia – Un buon giornalista non dovrebbe entrare nel merito di alcune questioni se non raccontandone i fatti, magari scendendo nei dettagli. In questa storia qui, però, non posso che entrarci ed essere anche felice. Il collegio D presieduto dai giudici Lucio Aschettino (giudici a latere Alessandra Zingales e Raffaele Muzzica) ha emesso sentenza di non colpevolezza nel processo di primo grado che vedeva accusato Enzo Liguoro, presidente onorario e fondatore della Onlus internazionale Mamafrica, accusato dagli inquirenti di abusi sessuali su minori. Sono contento perché conosco il professore e da sempre seguo le sorti di una associazione che è assieme un centro umanitario e seme di speranza e bandiera dell’antirazzismo non solo vesuviano e campano, ma italiano.  Dal 6 aprile del 2019 Enzo Liguoro non ha potuto allontanarsi da casa sua nel borgo antico di Trocchia in attesa della sentenza del  tribunale di Nola: assoluzione con formula piena. In sostanza i giudici del Collegio Nolano hanno rigettato le accuse del pubblico ministero che aveva chiesto la condanna di Liguoro a nove anni di carcere per le accuse prima rese in Africa e poi alla squadra mobile della polizia napoletana da un ragazzo ospitato nella casa famiglia che il professore ha creato a Togoville, assieme a un ospedale e a una scuola. In un mio editoriale riguardante la denuncia e poi gli arresti domiciliari di Enzo Liguoro, preferii raccontare i fatti, non esprimendo il disagio e assieme il rammarico per una brutta storia. Da ragazzino frequentavo la casa del prof e mi affascinavano i suoi racconti dei tanti viaggi, l’esperienza politica con lotta continua e le sue azioni culturalgoliardiche per sbeffeggiare i politici locali con esilaranti fotomontaggi fotografici. Proprio giorni fa con una persona per me specile guardai una foto che ancora conservo regalatami da Enzo raffigurante dei bambini in Vietnam.  Questo giornale ha sempre sostenuto le azioni di sensibilizzazione e volontariato attivo di Mamafrica e quando seppi della denuncia per abusi sessuali su minori, mi cadde per un attimo e anche per più di un attimo il mondo addosso. All’epoca degli arresti domiciliari di Enzo mi rifiutai, nonostante per estrazione culturale sia un garantista convinto anche di incontrarlo. Rimasi deluso dal solo fatto che si potesse mettere in discussione l’impegno di una vita di una persona che per una serie di giovani vesuviani come me ha rappresentato culturalmente un esempio. A chi mi chiese (Ciro Busiello, il papà di Giovanni un amico in comune) di incontrare Enzo per chiarire le mie posizioni a riguardo, risposi che avevo fiducia in lui ma era lui a dover chiarire le sue posizioni con la giustizia. A Roberta Migliaccio, volontaria di Mamafrica che ha mosso la sua passione giornalistica proprio sulle colonne di questo giornale, dissi più o meno lo stesso. Con Peppe un nipote di Enzo e amico mio, non abbiamo mai affrontato la questione, trincerati ognuno di noi dietro un pudore misto ad affetto ei indignazione. Oggi mi sento più leggero. Più libero di poter dire: finalmente. A Enzo chiedo scusa per non avergli testimoniato la mia vicinanza, per non esserlo andato a trovare, in quanto giornalista avrei potuto tranquillamente farlo, durante i domiciliari e  per non essermi fermato al bar a Trocchia quando gli permettevano ancora di uscire per qualche ora al mattino. Ero profondamente imbarazzato. In un solo attimo mi era caduto addosso il mondo. Quel papà Enzo come lo chiamano i bambini di Togoville, non poteva esser diventato il mostro che volevano sbattere in prima pagina le accuse di un ragazzino che all’epoca dei fatti fu allontanato dalla casa famiglia per condotte definite scorrette. Non ero convinto della sua non colpevolezza e non perché pensavo fosse colpevole, ma solo perché non avrei mai voluto quell’energia finire nelle maglie della legge, spesso non giusta. Quel fotografo, docente, ex militante di lotta continua che quando gli chiedevo il perché nonostante i suo acciacchi non si dedicasse al volontariato sotto il Vesuvio e lui mi rispondeva che lì in Africa c’era più bisogno, ho sempre sperato non fosse il pedofilo che i Pm della procura di Nola volevano arrestare. Oggi mi sento più leggero e spero che Enzo possa capirmi. Il primo pezzo del processo ha respinto ai mittenti le accuse infamanti. E da oggi il professore è nuovamente un uomo libero.

Paolo Perrotta

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