Alla 16ma edizione di ArtVerona, Ryan Mendoza per la Luigi Solito Galleria Contemporanea con “Welcome back to Afghanistan”
Luigi Solito Galleria Contemporanea partecipa quest’anno alla 16ma edizione di ArtVerona, dal 15 al 17 ottobre 2021 con una solo exhibition di Ryan Mendoza dal titolo “Welcome back to Afghanistan” (main section – padiglione 12 – stand F2). La galleria che ha inaugurato il suo nuovo spazio nel complesso dell’ex Lanificio in piena pandemia, dimostrandosi molto attiva, ha fatto del momento di crisi il suo punto di forza, spingendo e trovando sempre nuove alternative al sistema dell’arte esistente che fa fatica a ripensarsi. In quest’ottica è da inquadrare anche la sua partecipazione alla fiera ArtVerona, fiera tra le prime a essere organizzata “in presenza” dopo un lungo stop. Il gallerista Solito dopo aver visitato Miart, appena conclusa, si è chiesto se fosse giusto riprendere le attività fieristiche nelle stesse modalità pre-pandemia. La risposta è chiaramente no, e non è bastato che gli organizzatori delle fiere si siano ingegnati per far fronte al cambiamento irreversibile di questa parte del settore; secondo Solito il tentativo di cambiamento è nelle mani degli artisti e dei galleristi. Infatti, seppur nella “main section” della fiera, la galleria ha pensato insieme all’artista americano Ryan Mendoza di proporre una vera e propria mostra inedita, dal titolo “Welcome back to Afghanistan”.
L’idea è di trasformare i momenti fieristici non solo in una ripetizione di quello che vediamo nelle gallerie (o peggio nei magazzini delle stesse) ma uno spazio dove accadano veri e propri opening con opere mai viste prima; bisogna immaginare le fiere non solo come uno spazio di vendita, ma – come in origine – uno spazio di incontro, di proposta e di evoluzione.
L’esposizione presenta 18 opere di Mendoza su lamina di alluminio e un’istallazione di una tela di grande formato su sfondo di carta da parati anni ‘70.
Ryan Mendoza è noto per la sua ricerca e le battaglie che lo vedono sempre attento a sottolineare i temi derivanti dal contrasto tra il suo essere americano, perché nato in America, e allo stesso tempo il suo essere antiamericano e straniero ovunque si trovi. Temi come le differenze razziali (“The Rosa Parks House Project”) la disinformazione, la manipolazione dell’informazione, la “cancel culture” legata alle politiche americane che influenzano il mondo intero (come dai progetti “The invitation” e “A new face for Washington”) la differenza di genere, il ruolo della donna all’interno della società (tema trattato in “Amerikkka”) fino ad aver anticipato lo scandalo Weinstein e il movimento #metoo.
Da Catania, dove attualmente vive e sta preparando un’importante mostra al Palazzo Reale di Palermo dal titolo evocativo “The Golden Calf”, ha osservato l’ultimo atto della guerra in Afghanistan, creando una serie di lavori inediti che fanno riferimento al ritiro delle truppe americane: un atto che conclude in stile “tragicomico” i venti anni di politiche internazionali sbagliate e messe in atto dai vari governi che si sono succeduti, fino al ritiro, il “come back home”, che assomiglia a un epilogo cinematografico. Eventi drammatici ai quali assistiamo in lontananza, dallo schermo della tv o dei nostri laptop, e che in maniera surreale associamo a scene di un film. Non possiamo non pensare all’estesa filmografia americana in tema, dai western ai film sul Vietnam. Temi così tanto destrutturati e consumati nella narrazione cinematografica da essere diventati addirittura iconici, così come lo sono i personaggi di Walt Disney o della Warner Bros. E Mendoza censura le brutture di questo tempo proprio con tali personaggi, alterati, cinici e irriverenti. Un’alienazione che in superficie abbracciamo come un adorabile peluche, che si rivela poi un cavallo di troia: dal suo interno i nostri pensieri ci gridano silentemente la tragedia dell’orrore; proprio come nel racconto di Full Metal Jacket, il colpo geniale di Kubrik, che gira entrambi gli scenari in America e in Vietnam sullo stesso ambiente, serve a raccontarci che la guerra non è in un posto o nell’altro bensì dentro di noi. E Mendoza ci porta al finale del film, proprio quando tornando dalla battaglia i Marines intonano un dispotico “Topolin, Topolin, viva Topolin…”. (L.S.)
«Dov’è l’Afghanistan? Nove americani su dieci non sono in grado di individuarlo su una mappa. L’Afghanistan esiste però nel nostro immaginario collettivo, è radicato nel profondo di noi ed è più vicino a noi di quanto possiamo immaginare. L’Afghanistan è nel cacciatore e nella preda, con lo stupido capro espiatorio al seguito. Donald Duck sono io, l’uomo medio, una versione a fumetti di Willy Loman, l’ignaro idiota che alimenta il sistema con ignoranza e paura». (R.M.)
In fiera è disponibile il catalogo monografico di Ryan Mendoza pubblicato da iemme edizioni, il marchio editoriale nazionale legato alle attività della Galleria Solito.
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