Manifesto per la Rinascita del Parco nazionale del Vesuvio

Gli incendi di questa estate hanno strappato il velo su tutti i limiti, le debolezze, le insostenibili contraddizioni di una istituzione, l’ente Parco nazionale del Vesuvio, verso la quale in molti in questi anni avevamo nutrito più di una speranza e riposto molte aspettative positive.

La Presidenza e con essa il consiglio direttivo, parlano di una “mano criminale” che avrebbe deliberatamente appiccato gli incendi per screditare l’ente.

E′ questa una lettura dei fatti non suffragata da nessuna evidenza investigativa né tantomeno giudiziaria.

Additare alla opinione pubblica la criminalità come autrice degli incendi a noi sembra solo un modo di scaricare su un nemico invisibile ritardi, inadempienze, responsabilità che, certo, non sono riconducibili solo a quest’ultima presidenza, ma che la gestione attuale non ha fatto nulla per avviare a soluzione, né può essere considerato accettabile, scaricare ogni responsabilità sui comuni, come la Presidenza ha fatto, omettendo di riconoscere le proprie responsabilità oggettive per non essere intervenuta dopo gli incendi devastanti del 2016, né con interventi di bonifica delle aree percorse dal fuoco, né per garantire un maggior controllo del territorio durante la stagione estiva.

Un campanello di allarme (più che un campanello, una fragorosa sveglia) che non doveva restare inascoltato e che invece è stato ignorato, nonostante i ripetuti appelli ad intervenire delle associazioni.
Sostenere poi che la manutenzione dei boschi sia compito esclusivo dei comuni significa abdicare al proprio ruolo e alla propria funzione regolatrice e organizzatrice di ente Parco.

Oggi ci troviamo in una fase nuova, tutti lo dicono, dove la questione principale intorno alla quale dovrà ruotare per i prossimi anni tutta l’attività dell’ente Parco, sarà quella del ripristino ambientale, della ricostituzione della flora, del ripopolamento della fauna e della ricomposizione del paesaggio, così pesantemente alterato e abbrutito dagli incendi.

La rinascita del Parco non è naturalmente solo una questione di responsabilità individuali, di maggiori o minori capacità personali, tuttavia è nostra opinione che questa fase nuova non possa essere affrontata, gestita, diretta, da persone vecchie perché scelte con vecchie logiche, né da persone che da anni partecipano al governo del Parco senza costrutto alcuno, né, infine, da persone che hanno nei fatti dimostrato di non avere quella “visione” di Parco che unicamente può guidare tutta la comunità vesuviana verso un processo di crescita insieme a questa istituzione.

Quello che più ci ha negativamente sorpreso in questa nuova presidenza è stata la mancanza assoluta di una analisi di questi ventidue anni trascorsi dalla istituzione del Parco e quindi dei motivi, delle ragioni, degli ostacoli che in questi ventidue anni hanno determinato la incapacità dell’ente di garantire la tutela e la conservazione dell’ambiente, sino al tragico epilogo del luglio scorso, così come di promuovere lo sviluppo di tutte le attività economiche compatibili.

“Tutto cambia”, è stato lo slogan della presidenza Casillo.
Ma per cambiare bisogna sapere da dove veniamo e dove vogliamo andare.

Perché dunque in tutti questi anni il Parco nazionale del Vesuvio non è decollato?

E′ fondamentale chiederselo ora che la Storia ci chiede, anzi ci impone, di mettere mano ad una così vasta opera di ricostruzione ambientale.
Perché la ricostituzione ambientale passa necessariamente per un processo di crescita civile e politica di tutta la comunità vesuviana, se si vuole che essa sia durevole, e perché la rinascita del Parco passa necessariamente per il superamento dei limiti che ne hanno impedito lo sviluppo sino ad oggi.

L’ente Parco non è decollato:

1) perché non ha fatto un solo passo in avanti il processo di integrazione istituzionale tra ente Parco e comuni;

2) perché è prevalsa una visione municipalistica della politica e stenta a farsi strada una visione di insieme e di prospettiva;

3) perché non si è affermata una idea di Parco come “casa comune” di tutti gli enti locali che ne fanno parte, nella quale investire risorse (anche dei comuni), condividere competenze, progettare e programmare gli interventi di tutela dell’ambiente e quelli per lo sviluppo economico;

4) perché è prevalsa in questi anni la visione di un ente parco “bancomat” fonte di occasionali finanziamenti ovvero di un ente cerbero che impone regole non condivise dagli enti locali;

5) perché l’ente Parco non si è dotato in questi anni di una struttura e di un organico all’altezza dei compiti che deve svolgere. In organico non vi sono né agronomi né dottori forestali, mancano antropologi culturali, architetti paesaggisti, esperti di marketing territoriale e tante altre figure professionali che sarebbero necessarie, né vi sono operai qualificati in grado di manutenere boschi e sentieri e di costituire all’occorrenza squadre di pronto intervento in caso di incendio;

6) perché gli interessi sociali, gli operatori economici, i mestieri e le professioni, le associazioni culturali e di volontariato, sono rimasti esclusi dalla governancedel Parco e non si sono mai creati dei luoghi di confronto sistematico con questi interessi, cosa ancora più grave se si considera che l’ente parco è un ente i cui vertici sono per la maggior parte nominati e non eletti;

7) perché in tutti questi anni si sono alternate alla guida del Parco presidenze che hanno oscillato tra una interpretazione “conservazionista” e una interpretazione “sviluppista” del ruolo dell’ente, le prime sottovalutando l’importanza della valorizzazione, le seconde rincorrendo un compromesso impossibile, risolutore di una falsa contraddizione, tra “allentamento dei vincoli” per favorire lo sviluppo e “applicazione rigorosa dei vincoli” per proteggere l’ambiente, laddove invece è il vincolo a costituire la risorsa e tutela e sviluppo altro non sono che due facce della stessa medaglia;

8) perché in tutti questi anni non è mai stato seriamente fatto oggetto di studio e di riflessione un programma per sviluppare le enormi possibilità di auto finanziamento dell’ente Parco nazionale del Vesuvio;

9) perché in tutti questi anni non ci si è mai posti in modo convinto e lungimirante, l’obiettivo di rendere fruibile il Parco alle famiglie, creando luoghi e aree verdi attrezzate in ogni comune, per lo svago, il tempo libero, le attività ricreative, sportive e didattiche, determinando così nella popolazione affezione, attaccamento e amore per il Parco;

10) Infine, lo ricordiamo innanzitutto a noi stessi, perché in questi anni la spinta popolare, lo stimolo alla nostra classe dirigente a fare meglio e di più, è stata insufficiente o meglio a corrente alternata.

Da dove ripartire

1) Creare in ogni comune o raggruppamenti di piccoli comuni limitrofi, le Consulte dei cittadini per il Parco su iniziativa delle associazioni che condivideranno questo Manifesto aderendo alla Rete civica per il Parco.

E’ forse il punto più importante, quello che dipende direttamente da noi, la cui realizzazione dovrà garantire quella continuità di impegno popolare a favore della causa del Parco nazionale che non sempre in questi anni si è riusciti a mantenere.
Le Consulte per il Parco si muoveranno orientate dalla bussola del programma della Rete civica e daranno vita a molteplici iniziative sul territorio, costituendosi come Osservatorio per la difesa della Natura.
Alle Consulte saranno invitate a partecipare tutte le associazioni, anche quelle che non hanno sottoscritto il Manifesto, gli operatori economici del territorio, le forze sindacali, gli amministratori di maggioranza e di opposizione interessati alla causa del Parco. Le Consulte daranno vita ad un coordinamento territoriale che svolgerà al contempo una funzione di coordinamento e di indirizzo, ricevendo sempre nuova linfa dalle Consulte stesse.

2) Sollecitare una maggiore consapevolezza del proprio ruolo da parte degli enti locali e della Comunità del Parco cui chiediamo:

  1. a) di avviare un percorso di ascolto e confronto con i portatori di interesse locali, che porti in tempi brevi alla definizione di quel Piano di sviluppo socio economico quadriennale che consideriamo uno strumento di importanza fondamentale che si affianca al Piano urbanistico del Parco e che naturalmente deve recepirne i contenuti, indipendentemente dagli esiti del progetto di riforma della legge quadro sulle aree protette, attualmente in discussione in Parlamento;
    b) di avviare un dibattito pubblico approfondito con tutte le espressioni della società vesuviana che porti alla revisione del Piano urbanistico (per legge il Piano può essere revisionato ogni dieci anni dalla sua approvazione), anche alla luce delle importanti novità che si prospettano con la approvazione della nuova legge quadro sulle aree protette.

3) Istituzione delle Consulte civiche previste dallo Statuto dell’ente Parco e mai insediate, per non far mancare a chi dirigerà il Parco il contributo di esperienza, competenze e conoscenze degli operatori economici, del mondo delle professioni, dei rappresentanti della scuola e del mondo scientifico, dell’associazionismo e del volontariato. Proponiamo che vengano istituite quattro consulte (per la tutela dell’ambiente e del patrimonio culturale, per l’agricoltura, per il turismo, per l’educazione ambientale) i cui membri verranno indicati dal presidente della Comunità del Parco.

4) Integrazione istituzionale e rafforzamento delle istituzioni dell’ente Parco.
In questi giorni l’ente Parco ha sbloccato circa 7 milioni di euro di avanzi di gestione (il cui accumularsi è un segno evidente di una incapacità di spesa) decidendo di destinarli a finanziare progetti presentati dai singoli comuni del Parco su non meglio specificati interventi per la prevenzione del rischio idrogeologico. Questo avviene senza tuttavia che sia stato prima effettuato “a monte” un serio studio e monitoraggio delle zone colpite dagli incendi individuando le zone più a rischio di frane e smottamenti.
Delegare completamente le funzioni di analisi del rischio, progettazione e direzione degli interventi agli enti locali è sicuramente una strada fallimentare(in altro ambito, i disastrosi esiti del PIT Vesevo e dei progetti PIRAP stanno a ricordarcelo), così come sbagliata è, come sempre, la scelta di polverizzare gli interventi e gli investimenti.
D’altra parte il semplice coordinamento tra comuni ed ente Parco non è sufficiente.
Al contrario occorre procedere con decisione al rafforzamento della macchina amministrativa e della struttura tecnico – operativa dell’ente Parco.
Gli interventi di rinaturalizzazione e mitigazione del rischio idro geologico, che si sono resi necessari dopo gli incendi del 2016 e di questa estate, dovranno avere una cabina di regia unica ed essere diretti e realizzati da personale altamente qualificato, mentre la manutenzione ordinaria e straordinaria della sentieristica e delle aree boschive deve essere garantita da personale selezionato, formato e diretto dall’ente Parco.

Un programma per il Parco

Elenchiamo qui di seguito, in modo sintetico, i nostri punti programmatici.

1) Interventi per la bonifica e la rinaturalizzazione dei boschi e degli habitat distrutti dal fuoco.

2) Interventi per la prevenzione del rischio idrogeologico.

3) Elaborazione del piano di assestamento forestale (P.A.F.), previsto dalla normativa regionale, che disciplini e indirizzi le utilizzazioni boschive, gli interventi di rimboschimento, di ricostituzione boschiva, di sistemazione idraulico – forestale, nonché quelli finalizzati all’uso delle risorse silvo pastorali ai fini ricreativi e di protezione dell’ambiente naturale.
A ventidue anni dalla sua istituzione, nella perdurante confusione di ruoli e di attribuzione delle competenze tra Stato, ente gestore dell’area protetta e Regione, l’ente Parco, insieme ai comuni, non ha ancora assolto quest’obbligo di legge ed è pigramente prevalsa la erronea convinzione di qualche funzionario che bosco protetto sia sinonimo di bosco abbandonato a se stesso.

4) Censimento di tutte le micro discariche abusive in area Parco e bonifica dei siti.

5) Farsi parte attiva per il monitoraggio e la messa in sicurezza delle discariche di Pozzelle 3 (ex Cava Sari) e Pozzelle 2 a Terzigno, della Amendola Formisano, di cava Fiengo e cava Montone a Ercolano e della discarica “la Marca” a Somma vesuviana.

6) Istituire un coordinamento stabile tra Polizia Locale, CTA (nucleo dei carabinieri forestali alle dipendenze funzionali dell’ente Parco) e Polizia di Stato per il controllo del territorio e la prevenzione dei reati ambientali.

7) Creazione di squadre di operai del Parco per la cura dei boschi, la manutenzione ordinaria e straordinaria dei sentieri e delle opere di ingegneria naturalistica e per il pronto intervento a terra in caso di incendio boschivo.

8) Messa in rete della sentieristica, realizzando quei tratti di collegamento mancanti (per lo più vecchi sentieri abbandonati da riattare), che consentano all’escursionista di raggiungere, da qualunque punto di partenza, l’abitato di ogni comune del Parco.

9) Creazione in ogni comune, in collegamento con la sentieristica, di una “casa del Parco”, con funzioni di info point, centro accoglienza e punto ristoro.

10) Aprire al pubblico la Riserva Tirone Alto Vesuvio.

11) Interventi per la creazione di aree di sosta, aree gioco e percorsi per la educazione ambientale.

12) Elaborare e sperimentare, un serio progetto di educazione ambientale e di conoscenza dei diversi habitat del Parco, per la scuola dell’obbligo, attraverso il confronto con gli insegnanti, con il mondo scientifico, con l’associazionismo e con pedagogisti ed esperti di chiara fama.

13) Censimento, restauro e rifunzionalizzazione della architettura rurale abbandonata e in rovina.
L’architettura rurale vesuviana, ovvero quello che ne resta, è un patrimonio dall’immenso valore storico e antropologico, che va censito, restaurato e rifunzionalizzato nella prospettiva dello sviluppo di un sistema turistico locale capace di offrire residenzialità e servizi in dimore storiche e tradizionali. E’ una opera immane alla quale, purtroppo, sino ad oggi, né i singoli comuni, né la Regione Campania, né l’ente Parco, hanno mai messo mano. E’ questa una vera, grande, opera pubblica di cui c’è assoluto bisogno, la cui realizzazione, a nostro avviso, deve essere assunta dall’ente Parco come obiettivo strategico e prioritario.

14) Interventi di riqualificazione dei centri storici in area Parco e incentivazione di forme di accoglienza sostenibile (ostelli della gioventù, albergo diffuso, agri campeggi, bed and breakfast, ecc).

15) Censimento delle aziende agricole e degli agricoltori di fatto.
Il Parco nazionale del Vesuvio ha una superficie complessiva di 7259 ha. Dal 1990 al 2010 nel Parco nazionale del Vesuvio si è passati da una SAT (superficie agricola totale) di 3000 ettari ad una SAT di 700 ettari. La fonte è uno studio del 2014 del Ministero dell’Ambiente in collaborazione con Unioncamere. Più nel dettaglio: la coltivazione dell’albicocco è praticamente scomparsa nella maggior parte dei comuni e resiste solo in alcuni comuni del Monte Somma. La superficie vitata dichiarata, atta a divenire Lacryma Christi del Vesuvio doc, è passata da 364 ettari nel 2002 a 180 ettari nel 2015. Unica coltura che invece sembra andare in controtendenza è quella del pomodorino del piennolo del Vesuvio le cui superfici iscritte alla dop sono passate da 7,6 ettari nel 2010 ai 44 ettari del 2016.
In tutti questi anni l’ente Parco non ha assunto come proprio obiettivo strategico la salvaguardia della agricoltura tradizionale. Eppure i due terzi della superficie del Parco sono aree agricole.

16) Censimento delle varietà di frutta e ortaggi coltivati in area Parco a rischio di estinzione.

17) Creazione di mercatini degli agricoltori del Parco.

18) Organizzazione di feste e manifestazioni tematiche a cadenza annuale, legate alle lavorazioni e ai tempi del calendario agricolo vesuviano.

19) Interventi per il recupero delle terre abbandonate e per incentivare la nascita di nuove aziende agricole.

20) Totale riorganizzazione delle modalità di accesso al Gran Cono (da Ercolano come da Ottaviano) e dei servizi di accoglienza.

21) Fare uno studio di fattibilità per la realizzazione di una funivia da quota 800 a quota 1000 del Gran Cono in alternativa alla mobilità su gomma.

22) Rivedere radicalmente la convenzione tra ente Parco e guide vulcanologiche.
Le guide vulcanologiche operano in virtù della legge regionale n.11 del 1986 che stabilisce, tra l’altro, la obbligatorietà dell’accompagnamento dei visitatori al Gran Cono. Questo presupposto ha creato di fatto una soluzione di monopolio a tutto svantaggio dell’ente Parco. La convenzione stabilisce che al Presidio permanente delle guide vulcanologiche vadano 5,70 euro per ogni biglietto staccato, sia che si tratti del biglietto intero (10 euro), sia che si tratti del biglietto ridotto (8 euro), sia che si tratti di ingressi gratuiti. Considerato che il Gran Cono è visitato ogni anno da almeno 500.000 persone (ma al Parco giungono in continuazione segnalazioni di ingressi “autogestiti” dalle guide, che presidiano l’ingresso al sentiero) le 37 “Guide Alpine Vulcanologiche” ricevono dall’ente Parco in media circa 2.500.000 euro all’anno (circa 7000 euro al giorno per 365 giorni/anno), mentre con quello che resta l’ente Parco deve pagare il servizio di biglietteria (dato in convenzione a ditta esterna) e anche assicurare la manutenzione ordinaria e straordinaria del sentiero. Con quali criteri si è stabilito che sono necessarie 37 guide? Quanta manutenzione in più l’ente Parco potrebbe realizzare incamerando un euro in più per ogni biglietto?

23) Sviluppo di una attività di merchandising con vendita di gadgets del Parco, quale importante modalità di auto finanziamento dell’ente.

24) Bandire un concorso internazionale per la riqualificazione paesaggistica della via Panoramica Trecase – Terzigno e per la storica via “Zabatta” di Terzigno, fondamentali “porte di ingresso” al Parco.

25) Potenziare la pianta organica del Parco tramite distacchi da altri enti pubblici.

26) Assunzione con criteri rigorosamente meritocratici, con contratti di tipo privato, di personale tecnico altamente qualificato per colmare le lacune della pianta organica del Parco.

27) Nomina del direttore del Parco. Il posto oggi è vacante e le funzioni di direttore vengono svolte a rotazione dai funzionari anziani. Il direttore è figura fondamentale all’interno dell’ente. Dirige il personale, applica le direttive del Consiglio direttivo ed è responsabile della regolarità degli atti amministrativi.

28) Approvazione del regolamento del Parco. Approvato con grave ritardo dal Consiglio direttivo uscente, non è stato ancora approvato dal Ministero. Necessario per fare chiarezza, al riparo dalle interpretazioni, sulle Note Tecniche Attuative del Piano urbanistico del Parco.

Fuori del Parco

Il Parco nazionale del Vesuvio non è un isola. Immaginare che esso possa costituire una “isola felice” all’interno di un contesto metropolitano caotico e disordinato come quello che va da Caserta a Castellammare di Stabia, senza soluzione di continuità, è illusorio. L’ente Parco non ha un futuro come “fortino assediato”. Da esso tuttavia può partire un cambiamento. Il Parco può svolgere una funzione importante, forse decisiva, in una prospettiva di riqualificazione urbanistica, sociale ed economica di una area vesuviana vasta, più ampia di quella costituita dai soli comuni che ne fanno parte (senza dimenticare che alcuni di essi, tra i più importanti, hanno solo una parte del loro territorio in area Parco), non tanto e non solo per la possibilità, che pure esiste ed è concreta, di creare dei nuovi circuiti economici in grado di produrre occupazione, ma anche e soprattutto per la possibilità che esso ha in nuce di affermarsi come un modello di governo e di programmazione, di relazioni inter istituzionali e tra le istituzioni e la cittadinanza, che possa progressivamente “attrarre e includere” anche comuni che attualmente non fanno parte del Parco in una prospettiva di buon governo, di crescita ordinata, di riqualificazione del contesto urbano, di sviluppo della occupazione e di miglioramento della qualità della vita.

Su queste proposte vogliamo aprire un dibattito e costruire un confronto, il più ampio possibile, con tutte le espressioni della società vesuviana, nella speranza di trovare nel Governo e nel Ministero dell’ambiente, negli enti locali così come nella Regione Campania, interlocutori seri e disponibili a recepirle.

Rete civica per il Parco

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