LU CUNTU DE LU BRIGANTE BARONE – Nel libro di Angela Rosauro la vita, la morte e i misteri di un brigante vesuviano. E quella di un’epoca buia di cui si è detto poco

Pollena Trocchia – Chi è Vincenzo Barone? E chi è Luisa Mollo, la sua donna che lo tradisce indicando ai soldati piemontesi le ante dell’armadio in casa degli eredi della famiglia Palamolla, quando non lo arrestarono pur potendolo fare, ma lo ammazzarono e basta? E chi sono i fratelli Antonio e Maria Luigia De Luca (la monaca di casa) in questa storia? Nel libro LU CUNTU DE LU BRIGANTE BARONE , l’ultimo in ordine di tempo di Angela Rosauro, docente, dirigente didattica dell’Istituto Comprensivo Donizetti di Pollena Trocchia, pittrice e scrittrice, c’è un pezzo di storia tra le storia. A presentarlo, nella bella location di Villa dei Marchesi Cappelli, l’autrice, il sindaco della cittadina vesuviana Carlo Esposito, il direttore di questo giornale e il professore Carmine Cimmino, latinista, storico e scrittore di lungo corso. In platea, oltre al sindaco di Sant’Anastasia Carmine Esposito, il vice sindaco di San Sebastiano al Vesuvio Assia Filosa, l’assessora alla bellezza del comune di Pollena Trocchia Fortuna Riccio, la consigliera comunale di Massa di Somma Clara Ilardo, il presidente dei Lions di Sant’Anastasia, i consiglieri comunali di Pollena Trocchia Antonella Borrelli, Pasquale Fiorillo, Carmen Filosa, Giovanni Canfora e l’assessore Vincenzo Filosa.

Il parterre davvero di eccezione: storici, appassionati di cultura, insegnanti. Ad allietare la splendida serata, il coro Gaetano Di Matteo (in cui canta anche la direttora de Il Mediano.it Carmela D’Avino).  Il professore Cimmino nella bellissima e colta prefazione a Lu cuntu de lu brigante Barone, una piece teatrale in atto unico che prende spunto dalle carte processuali dell’epoca, chiarisce bene il valore dell’opera (acquistabile su Amazon) ”le pagine della storia di ieri – scrive Cimmino, citando Braudel – possono diventare pagine della storia di oggi, quando trovano un analista capace di leggerle con passione e sapienza”. E la passione e la sapienza di quest’opera, storica, a tratti davvero fotografica, Angela Rosauro ce la mette sin dall’inizio: nella dedica. A quei ragazzi che attraverso la conoscenza diventano liberi e scelgono la loro vita. In poche pagine (questo è uno di quei libri che piacciono perché piccoli e che assieme vorremmo non finisse mai perché le storie che racconta, come le racconta ti proiettano in quella dimensione reale e succede che tutti i protagonisti te li vedi davanti agli occhi, come se le storie si unissero) Angela Rosauro racconta un’epoca, la proietta ad oggi, ci fa rivivere quello che è successo e che magari conveniva non raccontare.

Ci da in sostanza la possibilità di conoscere e farci un’idea.  Quest’atto teatrale è uno spaccato storico. Un manifesto ideologico. Il dialogo tra la mamma di Vincenzo Barone e suo figlio sui “signori” è emblematico. Questo atto teatrale è un atto politico. L’invito di un mamma a non fidarsi dei signori è chiaramente una lente di ingrandimento sulla lotta di classe. Anche Barone lo dice: la storia la scrivono e la leggono, ma dei poveri cristi se ne dimenticano tutti. L’amore di Angela Rosauro per il valore immenso della storia la porta nell’Archivio di Stato, sezione penale -brigantaggio e la voglia di far vivere nuovamente i personaggi di quel pezzo di storia, i nostri briganti vesuviani, si trasforma in un atto teatrale. Angela rimette in vita Barone, sua mamma, l’amata e traditrice Luisa Mollo, i fratelli De Luca. E li fa parlare, muoversi, osservare, dandoci la possibilità di conoscere e rappresentarci un’epoca.  La Rosauro descrive benissimo quanto diversi siano i Vincenzo Barone della storia: quello vero, un ragazzotto morto poco più che ventenne che prima di darsi alla macchia sulle montagne del Somma Vesuvio, faceva il garzone a Sant’Anastasia e il brigante nel senso più stretto e politico del termine, cioè colui che con azioni violente non voleva che il sud subisse il potere del nord subito dopo l’unità d’Italia. Barone della politica non si interessava. Aveva un codice di regole e d’onore che poco era affine con le matrici ideologiche del tempo, anzi. Spesso senza nemmeno saperlo le sue azioni erano ideologicamente sfruttate da chi invece aveva interessi a creare scompiglio nel nascendo regno unito italiano. C’è una discrepanza (e Angela Rosauro la evidenzia benissimo) nella descrizione attraverso gli atti processuali di un Vincenzo Barone analfabeta e povero e quello che invece vorrebbe le sue origini legate alla storica famiglia Barone di Cercola e ai suoi studi all’accademia militare della Nunziatella.

La caduta dei Borbone – scrive Angela Rosauro – significò una serie di cambiamenti non facilmente assimilabili da chi fino a poco tempo prima aveva gestito il potere, per cui molte famiglie nobili si spostarono nelle loro residenze di campagna, come accadde in quelle del vesuviano.

Ci fu in quegli anni, con un ruolo decisamente da protagonista da parte della chiesa, una unione mai veramente di intenti e di interessi che erano e saranno sempre distinti, tra la nobilità e il popolino. Nasce così il primo brigantaggio.

 

In questo contesto operò la Banda Barone, prevalentemente nei territori di Pollena Trocchia, Sant’Anastasia e Cercola, contrapponendosi alla banda di Ponticelli.

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