LAVORI IN CORSO – La nostra vita è un lavoro in corso da consegnare al Signore che ce l’ha donata. Il suicidio, nell’approfondimento di Lorenzo Mandarino

Il suicidio. Orrendo mostro che si impossessa di una vita d’uomo che non gli appartiene per deciderne la sorte. Si intromette in un percorso di esistenza di cui non è stato lui a deciderne la nascita e lo sviluppo. Si presenta come un giudice non interpellato per decidere la certezza di un fallimento di vita alla quale lui è completamente estraneo. La nostra nascita, la nostra presenza nel tempo e nel luogo in cui siamo capitati non ha richiesto il nostro consenso. Di conseguenza la nostra vita non è che un partecipare allo svolgimento della storia della vita d’uomo che ci è stata assegnata, per partecipare all’intreccio della storia che si sviluppa nel nostro tempo d’esistere. E’ una sorta di compito che ci viene assegnato per poter partecipare allo sviluppo, fino alla sua conclusione, di tutta la nostra storia d’uomo. Tirarsi indietro da questo compito è non comprendere che la vita assegnataci contempla l’unione di due parti che un’insipienza d’uomo ha messo in contrasto: una prima vita, definita “nascita”; una seconda vita, definita “morte”. Nascita e morte non sono in contraddizione, ma sono semplicemente due tappe che formano il dono della nostra esistenza. Sono inseparabili. Il problema si presenta quando noi attribuiamo alla vita competenze e valori che le sono estranei, competenze e valori definiti e generati dalla nostra “sapienza” d’uomo; e attribuiamo alla “morte”, seconda tappa della nostra vita, un senso che non ha: la nostra fine, ovvero la conclusione del nostro esistere . In tal modo il “continuum” vita-morte è ignorato. In realtà la vita che si sviluppa nel nostro quotidiano non è che la prima tappa assegnataci e non può essere saltata volontariamente per partecipare alla seconda tappa che ci porta al taglio del traguardo del complicato percorso in due tappe della nostra esistenza. Non ci è consentito in alcun modo. Il Signore, giudice della nostra “corsa”, ce l’ha severamente vietato nel suo quinto comandamento: “Non ammazzare”. Non è una “favola”, come sembra a parere di un pensare d’uomo. Il suicidio in realtà interrompe un percorso di vita e inchioda in una eterna sosta con addosso i problemi che si intendeva risolvere. Soltanto il GIUDICE di corsa potrà annullare la squalifica a colui-colei che volontariamente se l’è procurata ritirandosi dalla fatica della competizione assegnata. Ma è complicato anche per Lui riammettere al prosieguo della gara, anche se a Lui nulla è impossibile.

Lorenzo Mandarino

 

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