La vita del boss, il sangue e l’amore. Dal sequestro Cirillo, alla morte di Moro, passando per l’omicidio Calvi e il caso Enzo Tortora. Il Sismi, la Democrazia Cristiana, la mafia e la ndrangheta

Un boss è sempre un boss e un boss di camorra è un uomo sanguinario che nonostante nasconda dietro efferati delitti una forma di riscatto sociale sulla scia per la scalata al potere ha lasciato troppo sangue, spesso innocente. Raffaele Cutolo non è il mito che tutti vogliono far credere ma un assassino che dice di essersi pentito d’avanti a Dio ma non ai magistrati, dice di essere l’ultimo camorrista e che dopo la fine della Nco, è tutta mafia. Ripercorriamo la storia di Raffaele Cutolo attraverso alcune figure chiave che hanno vissuto di e con il super boss della camorra.

Raffaele Cutolo nacque il 4 novembre del 1941 ad Ottaviano  da Michele Cutolo e Carolina Ambrosio. Il padre, detto ‘O monaco per la sua fervente religiosità, era un contadino mezzadro mentre la madre era una lavandaia. Dopo aver conseguito la licenza elementare svolse numerosi lavori come garzone presso artigiani locali. Ha riconosciuto due figli, Roberto (Napoli, 25 gennaio 1962 – Tradate, 19 dicembre 1990) – nato dalla breve relazione (8 mesi) con Filomena Liguori e Denise dalla seconda moglie Immacolata Iacone. Il figlio Roberto, pregiudicato, è stato ucciso a Tredate, da affiliati della ndrangheta il 19 dicembre 1990, per volontà di uno dei maggiori antagonisti di Cutolo, il boss vesuviano Mario Fabbrocino ‘o gravunaro. Nel 1980 Cutolo acquistò da Maria Capece Minutolo, vedova del principe Lancellotti di Lauro, il castello Mediceo, dove i suoi genitori avevano lavorato come guardiani per la somma di 270 milioni di lire. Il castello sarà oggetto nel 1991 di confisca ai sensi della legge n. 646 del 13 settembre del 1982 e dato in proprietà al comune di Ottaviano.

Il 19 febbraio 2020 viene ricoverato all’ospedale civile di Parma per una crisi respiratoria e nelle settimane a seguire rifiuta le cure e la tac. Viene dimesso a inizio aprile, facendo così ritorno nel carcere di Parma; subito dopo, il suo avvocato chiede la concessione degli arresti domiciliari a causa delle condizioni di salute, ma l’istanza viene respinta poiché può essere curato in cella e le sue patologie non vengono ritenute “esposte a rischio aggiuntivo” (il regime di 41 bis gli permette “di fruire di stanza singola, dotata dei necessari presidi sanitari”).

Il 30 luglio 2020 è stato trasferito dal carcere di Parma in ospedale, a quanto pare per un aggravamento delle condizioni di salute e problemi respiratori. Secondo il suo legale “continuano a sostenere che rifiuta di fare gli esami, ma noi riteniamo che non sia lucido”: la moglie è andata a trovarlo il 22 giugno e Cutolo non l’avrebbe riconosciuta. Muore nel reparto sanitario detentivo dell’Ospedale Maggiore di Parma il 17 febbraio del 2021 a causa di una setticimia del cavo orale conseguenza di una polmonite bilaterale.

 

 

ROBERTO CUTOLO, IL FIGLIO DEL CAPO TRUCIDATO A TRADATE

Roberto Cutolo e il papà Raffaele

Robertino è il figlio del boss, avuto da Filomena Liguori. Dieci colpi secchi, una mano in cerca di vendetta a premere il grilletto e un silenzio durato decenni sul suo omicidio. Fu assassinato il 19 dicembre del 1990 a Tradate, nel Varesotto, dove si trovava in soggiorno obbligato Roberto Cutolo, il figlio di Raffaele Cutolo, capo della “nuova Camorra organizzata”. Roberto fu freddato a colpi di pistola a soli 28 anni, davanti a un bar nella provincia di Varese, dove si era trasferito in seguito alla disposizione di una prassi nata con l’obiettivo di allontanare potenziali nuove generazioni di criminali dalla famiglia di origine, ma ben presto trasformatasi in una sciagura.

IMMACOLATA IACONE, LA MOGLIE DEL BOSS E LA MAMMA DI SUA FIGLIA. UN AMORE DIETRO LE SBARRE

Nel 1983 Immacolata Iacone (Tina) ha sposato Raffaele Cutolo, 20 anni più grande di lei. In quel momento lui si trovava già in carcere. La loro relazione è fatta di pochi contatti e molte lettere. I loro colloqui in carcere non sono mai privati. Dopo 36 anni gli è ancora fedele. E quando il marito, Raffaele Cutolo torna a far parlare di sé per alcuni verbali in cui dichiara che avrebbe potuto salvare lo statista della Democrazia Cristiana Aldo Moro,   Immacolata Iacone conferma: «Non l’hanno voluto in vita Aldo Moro». Nell’intervista al quotidiano Fanpage ha parlato anche delle condizioni di salute del marito, che non sta morendo, contrariamente a quanto riportato negli ultimi mesi. «È  un uomo con i capelli bianchi, molto magro». I due nel 2007 hanno avuto una figlia, Denyse, concepita con l’inseminazione artificiale, la cui autorizzazione fu concessa dal Ministero della Giustizia nel 2001, dopo una battaglia legale cominciata nel 1983. Immacolata Iacone parlò della figlia alla Voce di Napoli: «Una volta dicevo di vivere solo per Raffaele, adesso prima di Raffaele c’è lei e va difesa». La costruzione del rapporto padre-figlia in quelle condizioni è complicata: «Si tratti di amore e dolcezza. Raffaele continua a scrivere poesie per la sua bimba e le invia tramite telegrammi – diceva – Li conservo tutti e quando sarà più grande glieli consegnerò, aiutandola a leggere attraverso le parole per farle capire il senso e la forza di quelle righe».

Immacolata Iacone è la donna che ha legato la sua vita a quella di Raffaele Cutolo, parla del loro amore a distanza. Con la camorra non ci ha mai avuto a che fare, se non essendone una vittima. Ha incontrato prima che morisse, qualche giorno fa, suo marito nel carcere di Parma, ma una volta al mese e per una sola ora, senza mai toccarsi. «Quando mi sono fidanzata con lui, mi disse “due anni e sto fuori” e io risposi “dieci anni e ti aspetto”», dichiara nell’intervista rilasciata a Fanpage. E invece sono passati 36 anni, ma Immacolata Iacone ha continuato ad aspettare che il marito, fondatore della Nuova Camorra Organizzata, torni a casa. «Non mi ha fatto del male. Io ho amato questa persona, amo questa persona. Ho fatto una scelta e penso che una persona che fa una scelta la deve mantenere fino alla fine, in qualsiasi modo». Si innamorò del boss quando lei aveva 17 anni. In quegli anni lui era all’apice del suo potere criminale. Per sposarlo dovette fare un giuramento. «C’era un Vescovo della zona della Sardegna, diceva che era una cosa assurda che mi dovevo sposare e feci un giuramento, dovetti fare un giuramento davanti a lui e davanti alla chiesa che io firmavo che era una mia volontà, una mia decisione fare questa cosa. E ho dovuto fare questo prima del matrimonio».

 

ROSETTA CUTOLO, LA SORELLA DEL BOSS

Rosetta Cutolo

Domenica Rosa Cutolo, meglio nota come Rosetta è nata ad Ottaviano il primo gennaio del 1937, risiede ancora lì.  Sorella maggiore del boss Raffaele Cutolo e di Pasquale l’ultimogenito della famiglia è stata considerata l’esponente principale della Nuova camorra organizzata le lunghe detenzioni del fratello, ha diretto il clan gestendone gli introiti. Rosetta Cutolo non si è mai sposata e tuttora vive ad Ottaviano. Imputata in diversi processi, il 12 settembre 1981 scampò all’arresto quando la polizia fece irruzione nel castello mediceo di Ottaviano al termine di un vertice della camorra. Su Rosetta se ne sono dette tante, troppe. Gli occhi di ghiaccio della sorella del boss sono stati sempre da dietro le finestre, quasi mai usciva. Anche di camorra, ma sempre una donna è. Oggi è una signora anziana che rifiuta di parlare coi giornalisti, porta dentro di sè i misteri e il dramma di aver ereditato una vita che forse non avrebbe voluto, sicuramente non se l’è cercata. Rosetta delle rose, dei fiori e delle tangenti. Rosetta che non ha conosciuto uomo, nonostante ne abbia incontrato di influenti, a casa sua nel Castello Mediceo dove la sua mamma e il suo papà lavoravano, non ha incontrato più nessuno. Rosetta donna di ferro che oggi piange in silenzio suo fratello e guarda da lontano l’unica erede e sua cognata. E prega, nonostante anche l’unico suo confessore (don Giuseppe Romano) sia passato a miglior vita trucidato dalla camorra come un boss, perchè forse sapeva troppo.

Con Rosetta Cutolo, infatti, c’era tutto lo Stato maggiore della NCO (Nuova Camorra Organizzata) ed un esponente della Democrazia Cristiana di Ottaviano. La polizia sequestrò una grande quantità di documenti e le mappe che dividevano l’area napoletana nelle zone di influenza controllate dal boss coi relativi capi bastone, molti di quali Cutolo aveva affiliato al gruppo nelle varie carceri italiane in cui aveva soggiornato. Da quel momento, Rosetta cominciò una lunga latitanza con l’aiuto si dice di don Giuseppe Romano, sacerdote confessore della famiglia e di altri membri della NCO. Più volte è sfuggita alla cattura, come nel 1990 quando scappò da un convento poco prima di un blitz dei carabinieri. L’8 febbraio 1993, dopo alcune trattative che impegnarono anche i servizi segreti, si costituì per scontare 9 anni e 7 mesi per associazione mafiosa. In realtà, dopo sei anni è tornata ad Ottaviano, dove tuttora vive.

 

MARIO CUOMO, IL PUPILLO DEL BOSS E BRACCIO DESTRO DI ENZO CASILLO

Mario Cuomo (Napoli, 6 settembre 1960 – Napoli, 11 ottobre 1990) è stato un camorrista italiano. Ritenuto un membro di spicco della Nuova Camorra Organizzata, pupillo del boss Raffaele Cutolo e braccio destro del suo luogotenente Vincenzo Casillo. Fu assassinato nel suo appartamento l’11 ottobre 1990 da un commando di sicari. Nacque a Napoli nel quartiere San Carlo all’Arena, proveniente da una numerosa famiglia composta da 10 figli. La sua ascesa criminale ebbe inizio quando, ancora giovanissimo, uccise a coltellate un guappo durante una lite. Qualche anno dopo una nuova lite, una nuova vittima, stavolta ad Avellino, zona in cui a soli 22 anni era già considerato un capo. Durante gli anni di detenzione si avvicina al boss della nascente Nuova Camorra Organizzata, Raffaele Cutolo, divenendo presto un suo uomo di fiducia. Nel corso della carcerazione sua madre perse la vita in un incidente stradale, proprio mentre si recava da lui per un colloquio carcerario. Mario Cuomo assume ruoli di elevato spessore all’interno della NCO, tanto da divenire il braccio destro di Vincenzo Casillo, numero due dell’organizzazione, colui che, come ebbe a definire lo stesso boss di Ottaviano, era considerato “Cutolo fuori dal carcere”. Accusati di numerosi reati, Cuomo e Casillo si resero irreperibili, e dopo la Faida tra Nuova Camorra Organizzata e Nuova Famiglia divenne un punto di forza dell’organizzazione cutoliana nella zona di Avellino. Di motivi per essere ricercati, e non solo dalla polizia di tutta Italia, i due dovevano averne molti, si era persa ogni loro traccia, tanto che il padre di Mario Cuomo si era deciso addirittura a rilasciare una intervista a “Il Mattino” di Napoli, nella quale avanzava l’ipotesi della morte del figlio. Nella sua carriera di esecutore aveva commesso reati eccellenti, come l’omicidio di Salvatore Alfieri, fratello del boss Carmine Alfieri, ucciso il 26 dicembre 1981 dallo stesso Cuomo, l’assassinio del penalista Dino Gassani, ucciso la sera del 27 marzo 1981, l’attentato all’allora sostituto procuratore della Repubblica Antonio Gagliardi e la gambizzazione del giornalista Luigi Necco della Rai.

VINCENZO CASILLO, ‘O NERONE: IL CUTOLO FUORI LE SBARRE

Enzo Casillo, l’industriale prestato alla camorra

Vincenzo Casillo (San Giuseppe Vesuviano, 8 luglio 1942 – Roma, 29 gennaio 1983) è stato un camorrista italiano, affiliato alla Nuova Camorra Organizzata. Detto o’ Nirone per la sua capigliatura corvina, è stato uno degli uomini chiave della Nuova Camorra Organizzata, svolgendo un ruolo attivo sul territorio mentre Raffaele Cutolo soggiornava nelle diverse carceri italiane. È ritenuto l’autore materiale dell’omicidio di Nino Galasso, fratello di Pasquale Galasso boss capo assieme a Carmine Alfieri, a Luigi Giuliano, Pasquale Galasso e Luigi Vollaro della Nuova Famiglia, il cartello criminale che in Campania tentava di arginare l’ascesa criminale di Raffaele Cutolo. L’affiliazione di Casillo alla NCO è anomala: egli, a differenza dei primi membri, non è un galeotto né un pregiudicato. Figlio di un industriale, dirigeva una fabbrica di pantaloni a San Giuseppe Vesuviano. Alla fine degli anni ’70 si presenta spontaneamente a Poggioreale e in un colloquio con Raffaele Cutolo offre una sostanziosa quota della sua ditta per assicurarsi una piena protezione del boss. Da allora, stringe un rapporto sempre più intenso con il boss di Ottaviano, diventando il suo braccio destro. Insieme ad Alfonso Rosanova, ha svolto un ruolo chiave nel corso del rapimento di Ciro Cirillo avvenuto il 24 aprile del 1981. Com’è noto, alcuni dirigenti della Democrazia Cristiana chiedono l’intervento di Cutolo per la liberazione di Cirillo e il primo contatto con la NCO avviene attraverso Francesco Pazienza, collaboratore dei servizi segreti, che il 17 luglio 1981 incontra ad Acerra Vincenzo Casillo. È proprio lui a gestire la trattativa tra SISMI, NCO, Brigate Rosse e dirigenti della Democrazia Cristiana. A seguito della liberazione di Cirillo (25 luglio) viene sospeso il decreto di carcerazione predisposto per Vincenzo Casillo. È possibile che questi fosse in possesso di un tesserino dei servizi. Nel 1981, Casillo fa da mediatore tra le famiglie della vecchia camorra campana e la NCO: in principio si riesce a trovare un accordo per una spartizione territoriale, ma successivamente l’accordo salta poiché Cutolo pretende una forte tangente sul contrabbando delle sigarette. Secondo il collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, Casillo fu l’esecutore materiale dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi, avvenuto a Londra nel 1982;

PASQUALE BARRA, ‘O ANIMALE: IL CARNEFICE DELLE CARCERI

Pasquale Barra, ‘o animale: il killer delle carceri

Braccio destro di Raffaele Cutolo fu Pasquale Barra, ‘o animale, il camorrista che accusò Enzo Tortora di spaccio di stupefacenti. Barra era un killer sanguinario, un criminale con all’attivo 67 omicidi di cui molti compiuti nelle diverse carceri italiane dove ha spesso soggiornato dal 1970. Tra i delitti più eclatanti commessi da ‘o animale quello di Francis Turatello, boss di Cosa Nostra operante nel milanese, trucidato nel carcere Badu ‘e Carros di Nuoro il 17 agosto del 1981 con 40 coltellate che gli dilatarono il ventre consentendo a Barra di prendere a morsi le viscere con l’aiuto di un altro detenuto, Vincenzo Andraous. Cosa Nostra non gradì l’omicidio di Francis Turatello e Cutolo per salvare la faccia accusò Barra di aver agito senza suo ordine. Questo pare  indusse pasquale Barra a collaborare con lo Stato. Tra i nomi dei killer, pusher, fiancheggiatori e presta nome, Barra fece quello di un insospettabile giornalista, conduttore televisivo di una trasmissione amatissima da tutti “Portobello”: Enzo Tortora, morto nel 1988 un anno dopo la sua definitiva assoluzione. 

Per la precisione il 19 aprile del 1983 Pasquale Barra nel corso di un interrogatorio da collaboratore di giustizia accusò Enzo Tortora di essere un affiliato alla NCO e nello specifico responsabile del traffico di stupefacenti. Il giornalista e conduttore televisivo, ingiustamente detenuto, fu poi carcerato e definito innocente. Tutti i capi di accuserà caddero e Barra fu definito non attendibile per quel filone di processo alla Nco di Cutolo che vedeva chiamati in causa anche molti insospettabili. Le accuse contro di lui si rivelarono infatti infondate e lo stesso Barra si rifiutò di confermare l’affiliazione di Tortora alla NCO sia in primo grado sia in appello. Barra continuò sino all’ultimo respiro a definirsi camorrista accusando l’ex capo Cutolo di aver tradito il significato stesso del termine e quindi un preciso ideale. Deceduto nel 2015 a 73 anni nel carcere di Ferrara per un arresto cardiaco Pasquale Barra rappresenta ancora oggi l’icona del potere violento di Raffaele Cutolo. “Pasquale – disse Cutolo a Enzo Biagi durante la famosa intervista in aula nel corso di un processo – è amico mio da sempre, un ragazzo sfortunato, molto sfortunato. Una brava persona: ma chi lo cerca lo trova, state certo”.

 

 

 

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