ECCO I CANTI DI GIACOMO LEOPARDI, nella traduzione in Napoletano di Antonino d’Esposito

 

Tentare di dare una giustificazione o una spiegazione a questo volume è forse inutile e per il lettore che ha deciso di intraprendere questo viaggio nessuna delle due cose sicuramente ha importanza; alle volte porsi delle domande porta solo ingarbugliare una situazione che si cerca di sbrogliare. Altrettanto ingiustificato sarebbe chiedersi il perché, come tante volte mi è stato fatto al solo esporre il progetto di tradurre Leopardi in napoletano. Ma pecché? Posso comunque confessare che tra tutte le ragioni che mi hanno spinto in questa impresa, quella che ritengo più importante si chiama memoria. La parola scritta può vincere i vincoli temporali della condizione umana e navigare tra le generazioni senza naufragare. Avverto con urgenza il bisogno di consegnare alla carta la lingua della mia terra affinché questa non scompaia, per far sì che il napoletano possa dimostrare ai suoi stessi parlanti che è in grado di esprimere i versi di uno dei più grandi poeti italiani che proprio a Napoli trascorse gli ultimi anni della sua vita.

Il legame che fonde parola e memoria è antico quanto la nostra stessa civiltà occidentale ed è vivo nei canti che compongono questa traduzione. Un filo sottile, ma resistente, che passa anche attraverso immagini e simboli vesuviani resi immortali dal poeta di Recanati. Sull’arido dorso del vulcano che da millenni disegna la fisionomia del golfo partenopeo, la ginestra, tanto profumata quanto effimera, ha servito da ancella per la chiusura di un cerchio poetico che ha imposto alla nostra letteratura il marchio leopardiano. Che finalmente questa ginestra parli la lingua del Vesuvio! Che infine si esprima anche col napoletano che profuma dell’essenza della sua terra. Una terra scura, arena nera, sempre pronta ad accogliere la furia sterminatrice della natura da cui attingere per dare vita a un piccolo fiore giallo.

Editore: MReditori

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