Alla Biblioteca Nazionale di Napoli: ritrovati appunti inediti del poeta Giacomo Leopardi

 

Un manoscritto giovanile, inedito, del poeta recanatese Giacomo Leopardi, appena sedicenne riemerge dal Fondo Leopardiano, della Biblioteca Nazionale di Napoli.

Si tratta di un “quadernetto” formato da quattro mezzi fogli, ripiegati nel mezzo in modo da ottenere otto facciate, recanti una lunga e fitta lista alfabetica di autori antichi e tardo antichi (circa 160 i lemmi), ciascuno dei quali seguito da una serie di riferimenti numerici.

A darne notizia Marcello Andria e Paola Zito, i quali hanno curato la pubblicazione per i tipi di Le Monnier Università.

Il volume intitolato “Leopardi e Giuliano imperatore. Un appunto inedito dalle carte napoletane” è stato presentato a Napoli alla Biblioteca Nazionale -Sala Rari- con Maria Iannotti, Giulio Sodano, Francesco Piro, Rosa Giulio, Silvio Perrella, Lucia Annicelli.

«Gli appunti inediti di leopardi confermano l’importanza della raccolta leopardiana napoletana che si presenta sempre più completa, mettendo a disposizione degli studiosi un panorama integrale dell’opera di Giacomo Leopardi. Siamo di fronte ad uno scritto di Leopardi appena sedicenne, assiduo frequentatore della biblioteca paterna, che realizza un accurato e capillare spoglio dell’Opera omnia di Giuliano imperatore, ricorrendo all’autorevole edizione di Ezechiel Spanheim, apparsa a Lipsia nel 1696», si legge in una nota diffusa dalla Biblioteca Nazionale di Napoli.

E si continua a leggere: «Leopardi che soltanto l’anno prima ha cominciato a studiare il greco da autodidatta, perlustra assiduamente i migliori esemplari della biblioteca paterna. L’autografo ci mostra come benché giovanissimo Leopardi è già uno studioso provveduto e curioso ed abbia già un accurato metodo di lavoro, che rappresenterà la caratteristica costante del percorso leopardiano.

Gli anni in cui il giovane Leopardi si accosta alla lettura di Giuliano rappresentano una tappa significativa nel percorso di rivalutazione della figura dell’Apostata, per lungo tempo offuscata dalla condanna pressoché unanime degli storici fino alla metà del XVI secolo e riscoperta nel Settecento ad opera soprattutto degli illuministi (Montesquieu, Diderot, Voltaire) ma accolta in Italia, fra attestazioni di stima e dichiarata ostilità».

 

 

 

 

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